Politica

Il gioco è finito

E’ finito il giuoco politico più fesso, tutto attorno al seguente dilemma: chi s’intesta la caduta del governo che, tanto, non sa e non riesce a governare? Il presupposto è che il governicida pagherà caro l’attentato alla stabilità. Trattasi di trastullo così pazzotico da fornire anche tratti comici: prima il presidente del Consiglio dice che, in caso di crisi, agli italiani toccherà pagare un punto di Iva in più; poi, visto che la crisi non c’è e lui si trova ancora lì, nella più assoluta immobilità, prepara un decreto in cui l’Iva non cresce, ma crescono accise e Irap (fra i due mali meglio l’Iva); infine sospende il decreto e lo pospone alla verifica. E su cosa la fanno, la verifica? Tutta su dispetti e ripicche? In questo giuoco fra inutili che fanno cose inutili, un bel vantaggio se l’era preso il centro destra, che annunciando le dimissioni dei propri parlamentari ha fatto un regalone ai governanti riluttanti, offrendo loro una via d’uscita per responsabilità altrui. Ora si dimettono i ministri. La crisi di governo era nelle cose da tempo, averla ufficialmente aperta dovrebbe aiutare a ritirare l’annuncio di dimissioni parlamentari. Sommare crisi, decadenza e dimissioni è un incubo. Aizza le tifoserie, ma allontana il pubblico.

Tutta questa roba, raccontabile solo in odioso politichese (infatti mi sono già stufato), s’accompagna alla trasformazione genetica della democrazia parlamentare in monarchia. Il rapporto fra Giorgio Napolitano ed Enrico Letta non ha nulla a che vedere con la Costituzione del 1948, piuttosto ricorda quello fra il re e il “suo” primo ministro. Forse sarà l’influenza del Quirinale, residenza monarchica, ma posto che ci abitarono anche i papi non vorrei che la cosa dilagasse fino ad averne un terzo. E trattasi anche di re loquacissimo, pronto a intervenire nel dibattito politico. A tal proposito vale la pena puntualizzare due questioni, relative al galateo istituzionale e alla giustizia.

Dice Napolitano che non ci sono più le buone maniere di una volta, quando la pur aspra vita politica non trascinava nella rissa il rispetto istituzionale. I ricordi talora commuovono e talora ingannano. Qualche altra nascono già taroccati. Nei miei ho il gruppo parlamentare comunista, di cui faceva parte l’odierno presidente, che diede all’allora inquilino del Quirinale, Giovanni Leone, del ladro, del tangentaro e del corrotto, imponendogli le dimissioni. Poi si accertò che non era vero e il presidente era innocente, ma anche finito. Ancora oggi, e questi sono i prodigi della memoria corrotta, sono certo che taluno trasalga a queste parole: ma come, Leone non era un delinquente? No. Però, dice Napolitano, quel che non si deve fare è evocare il golpe. Eppure ricordo che a Francesco Cossiga fu rimproverato, alternativamente, d’essere totalmente fuori di senno o di tramare contro le istituzioni. Tanto che ne fu chiesta, sempre dal gruppo di Napolitano, la messa in stato d’accusa per tradimento della Costituzione. Il ricordo del galateo, insomma, somiglia tanto a quello delle mezze stagioni.

Sul fronte della giustizia manifesto la più piena solidarietà a Napolitano, ancora insistentemente chiamato, dalla procura di Palermo, a deporre in un processo penale. Il presidente non deve andare. Siamo pronti a difenderlo in tal senso. Aggiungo (sembra non entrarci, ma c’entra) che considero sbagliata la posizione assunta da Forza Italia, sia relativamente alle annunciate dimissioni che sul tema della legge Severino. Considero politicamente sciocco sollevare il problema della retroattività, perché votandola commisero un errore non rimediabile. Però, ed è questo il motivo per cui lo dico, oggi il centro destra chiede quel che il Quirinale volle per sé: un parere della Corte costituzionale. Perché in quel caso sì e in questo no?

Il presidente della Repubblica è irresponsabile, ma solo nell’esercizio delle proprie funzioni. Se ammazza a pistolettate un corazziere è ovviamente responsabile. Come se ne esce? Ci guidò il grande Costantino Mortati, costituzionalista e costituente: a parte la messa in stato d’accusa, deliberabile dal Parlamento, in caso di reato non legato alla funzione il presidente è responsabile, ma improcedibile. Vale a dire che il processo glielo fanno quando scende dal Colle. Ecco: testimoniare non è certo relativo all’esercizio delle funzioni, per giunta su una cosa che non fece lui, ma un suo collaboratore, non coperto da alcuna immunità. Deve andare? La consulta rispose: no. Fine. E se la procura insiste, questo sì ha dell’insurrezionale. Oggi cosa chiede il centro destra, finito nel vicolo cieco di volere evitare l’inevitabile? Chiede che sia sentita la Corte costituzionale. Ci pensino, prima di dire di no. A me sembra una richiesta disperata e disperante, perché la Corte considererà applicabile la Severino (che, semmai, è incostituzionale perché subordina il Parlamento a un altro potere, ma questo è singolare lo sostengano gli stessi che l’hanno votata). E perché, nelle more del giudizio, arriverà l’interdizione dai pubblici uffici.

Perché negarlo, allora, come fanno tutti, dal Colle in giù? Perché il centro destra ha il sangue agli occhi e la testa annebbiata, ma gli altri cercano costantemente la provocazione, per nascondere il vuoto d’idee che li riempie. Il gioco è finito, il governo è caduto. Se non si fermano isterismi e aizzamenti si andrà alle elezioni dopo essere passati per un governo del re. Ma di un re assoluto, manco costituzionale.

Pubblicato da Libero

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