Politica

Il lodo e la causa

La giornata di mobilitazione per la libertà di stampa è una pagliacciata. Parteciperà chi ne ha la vocazione. Che un governante trascini in giudizio un giornale od un giornalista, affermando d’essere stato offeso e danneggiato, è cosa normale, in uno Stato di diritto. Deciderà il giudice. Non è normale, invece,

l’insieme delle cose che stanno succedendo.
In politica si ragiona politicamente, e gli avvocati si consultano, se proprio non se ne può fare a meno, perché si dedichino alla gestione tecnica di un procedimento. E’ evidente che il presidente del Consiglio è stato preso di mira da una campagna giornalistica che puntava ad indebolirlo, e se possibile disarcionarlo, sulla base di scelte e costumi che non avevano a che fare con la sua funzione istituzionale, ma con la sua vita personale. Non è anomalo, capita anche in altre, e ben solide, democrazie. E’ patologico, invece, che la guida dell’opposizione sia, di fatto, appaltata ai mestatori di questa campagna, in assenza di programmi e uomini che rappresentino una reale alternativa. Il risultato è, come i sondaggi evidenziano, che l’oggetto degli attacchi finisce con il rafforzarsi. Gli italiani non sono scemi, sanno valutare e possono non trasformare in giudizio politico un eventuale giudizio personale. In quanto al “mondo che ride di noi”, questa è la tipica affermazione dei borgatari che sarebbe esagerato definire provinciali, giacché, se è per questo, il mondo rise di Clinton, ma nessun governante commise l’errore di sottovalutarne la forza, nessuno sfuggì alle leggi degli interessi, ed il presidente la sfangò, pur essendo la sua versione, all’evidenza, mendace.
Le cose si complicano quando la difesa non solo trasloca in tribunale, ma lo fa assumendo su di sé il linguaggio ed i paradigmi culturali di chi agita l’accusa pubblica. In questo caso si pretende di dare valore collettivo, quindi politico, a tecnicalità che possono vivere, forse, e ne dubito, solo in aule giudiziarie. Insomma, guardo con un certo raccapriccio all’idea che l’ampia facoltà di prova possa riferirsi anche alla potentia coeundi di taluno. E’ una pagina di commedia all’italiana, richiede la presenza di Sordi in gonnella, cancella ogni ipotesi di gravitas repubblicana.
Inoltre i tempi, sempre incivili, della giustizia italiana garantiscono il periodico riemergere della vicenda, con il suo incespicare nel boudoir, ad imperitura fama e per il duraturo sollazzo di giovincelle ossigenate ed intervistate, come di attempate professioniste, orgogliose dell’appartenenza al più antico degli albi. Sicché, foss’anche per smentire il tutto, si finirà con il ripeterlo fino alla noia. Anzi, direi fino alla nausea. Che non è un gran risultato, specie se, fra le disgrazie possibili, si ottenesse il verdetto favorevole sulla base di concetti tristi ed arditi, quali quello dell’“utilizzatore finale”.
Ma non è solo questo, perché sullo sfondo c’è un problema politico di primaria importanza: il lodo Alfano. Com’è noto, la non perseguibilità delle alte cariche dello Stato, per la durata del loro incarico, è all’esame della Corte Costituzionale. C’è chi si esercita nelle previsioni, disegnando scenari sempre più immaginari. Scrissi, mesi fa, quel che pensavo, ora non resta che attendere. Nell’attesa, però, sarebbe ragionevole che i diretti interessati, e quanti hanno sostenuto e votato il lodo, si comportino in maniera da rafforzarne la credibilità e non da metterne in evidenza le debolezze. Il ricorso alla giustizia, da parte di Berlusconi, è, appunto, un errore di questo tipo. Vero è che ha impostato la causa in sede civile, e non penale, ma vero è anche che il diritto non è come le armi degli antichi duelli, talché gli sfidanti stabiliscono all’inizio, per il tramite dei padrini, se da fuoco o da taglio, accettando di non cambiare idea. Il diritto, nel nostro mondo, non conosce distinzioni ed è strumento inalienabilmente a disposizione di ogni cittadino. Tutto, non a spizzichi bocconi.
Non è affatto scandaloso che Tizio, quale che sia la sua posizione e funzione (fatta eccezione per i magistrati, però, che ti portano davanti ai loro colleghi), porti in giudizio Caio. Ma diventa singolare se poi Caio non può portare in giudizio Tizio, per legge. Trovo pazzesco che, nel Paese degli azzeccagarbugli, non sia risultato evidente tale stridore. La causa avviata potrebbe divenire un argomento non secondario nel valutare la costituzionalità di una legge.
Tutto questo serve a dimostrare che il nostro dibattito pubblico, la nostra vita politica, ed anche la sensibilità istituzionale, è divenuta una maionese impazzita. Il che non giova all’opposizione, ma neanche fa bene alla forza ed all’efficacia della maggioranza. E allora, chi perde? Sono le istituzioni che ci perdono, è il livello dell’etica e della coerenza pubblica che scende. Ciascuna tifoseria dà la colpa a quelli della squadra avversaria. Ma è la partita a sembrare guasta.

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