Politica

Il morbo

Tutte le legislature, dal 1994 in poi, hanno avuto il loro Gianfranco Fini. Il primo fu Umberto Bossi e fece scuola, visto che, nel breve volgere di pochi giorni, Silvio Berlusconi passò da alleato prezioso a mafioso e stregone. Altri seguirono, da Fausto Bertinotti a Marco Follini, da destra e da sinistra, confermando la regola della seconda Repubblica: gli avversari veri non sono quelli dell’altro schieramento politico, ma quelli cresciuti nelle proprie liste. Non possiamo continuare così, perché il governo non governa da troppi anni, perché il Paese è fermo nella ripetizione di conflitti sempre uguali. Anche uscirne, però, non è facile. Prendete quel che sta succedendo in queste ore: la politica è in stallo, ma si dice che le elezioni anticipate sarebbero un danno, che i mercati internazionali ce lo metterebbero in conto. E’ vero, ma avete idea di quanto ci costerebbero mesi di rissoso non governo? Avete idea del danno portato da elezioni da farsi a metà dell’anno prossimo, quando l’agonia sarà finita, ma anche quando il debito pubblico sarebbe ancora da collocare? Il problema, allora, non è “se” fare le elezioni anticipate, ma “per cosa” farle.
Il morbo della seconda Repubblica è l’ingovernabilità, e si tratta di una malattia contratta alla nascita. Illegittima. Il ventre che l’ha concepita fu postribolare, fecondato in un’orgia di affarismo e deviazione istituzionale, sperando d’ingannare la sorte e portare al governo quei comunisti che la storia aveva condannato alla rottamazione degli incubi. L’incidente di percorso fu Silvio Berlusconi, che trovò il modo di bloccare il sopruso e l’infamia, usando uno strumento che divenne caratteristico della stagione successiva: la coalizione dei diversi e dei contrapposti. Vinse, fortunatamente. Ma non governò. Era impossibile. Già la volta successiva (nel 1996) la sinistra si era berlusconizzata, imitandone il metodo. Da quel momento in poi viviamo sempre la stessa storia: chi prende più voti va al governo, ma non governa. La sinistra cambia presidenti del Consiglio. La destra no, ma ne blocca l’attività. Le coalizioni servono per vincere le elezioni, ma sono nemiche della governabilità.
Ciò capita perché le istituzioni repubblicane sono sempre le stesse e la nostra Costituzione, che la sinistra ha scassato nel titolo quinto, è immutata per il resto, concepita per un sistema proporzionale e con forte ruolo dei partiti. Oggi, invece, i partiti sono ovili satanici e il sistema elettorale prevede il premio di maggioranza alle coalizioni. Non può funzionare. Difatti non funziona.
La prima Repubblica ha avuto grandi pregi, e i difetti che ne hanno provocato la morte non sono quelli agitati dal moralismo fascistoide e giustizialista. Ma è finita, indietro non si torna. Non è possibile, perché sono disperse le famiglie politiche risorgimentali (si rifletta su questo, in vista del centocinquantenario) ed è dissolta, fortunatamente, la guerra fredda. Allora si deve andare avanti, conformando le istituzioni non al bipolarismo, che non c’è e non ci sarà mai, ma al bisogno di rendere forte il potere degli elettori e, poi, forte quello del governo. La nostra Costituzione prevede il contrario.
Se si pensa di convocare le elezioni anticipate solo per regolare i rapporti di forza fra formazioni politiche ridotte ad essere agglomerati di persone e interessi, si sta perdendo tempo. La sinistra non le vincerebbe, ma ove ciò accadesse saprebbe rispaccarsi nel giro di qualche settimana. Un terzo polo composto da Casini, Fini e Rutelli è politicamente evanescente, ma ove prendesse corpo e ove coagulasse voti riuscirebbe a ridividersi prima ancora che la conta sia finita. E anche se rivincesse Berlusconi, come oggi sembra probabile, cosa credete che accadrebbe? Una classe parlamentare sempre più ruminante, nella speranza che non si faccia contaminare dalla politica, con il risultato che sarebbe, come è, subito infettata dagli interessi e dalle lotte di palazzo. Quindi nuove spaccature e nuova ingovernabilità.
Alle urne conviene andare, e conviene farlo in fretta, prima che lo stallo divenga giudizio diffuso fra gli investitori nel debito pubblico. Ma ci si deve giungere consapevoli che la posta non è la cresta del galletto più rumoroso, ma la riscrittura delle regole costituzionali. C’è, da una parte e dall’altra, chi ha interesse a due cose: a. non ridurre tutta la vita collettiva alla tribale divisione fra berlusconiani e antiberlusconiani; b. non restare, conseguentemente, prigionieri delle minoranze estremiste e chiassose. In tutti questi anni Berlusconi è stato oscillante, perché la contrapposizione estremizzata gli giova elettoralmente, salvo poi rendergli impossibile raccoglierne i frutti (vi rendete conto che, dopo sedici anni, è ancora lì a combattere accuse penali?!). E’ sconcertante, invece, l’incapacità, prima di tutto culturale, della sinistra, che non si sottrae alla trappola. I Massimo D’Alema, i Pier Luigi Bersani, ma anche gli Enrico Letta e i Franco Marini si sono massacrati nel condurre una guerra che non era la loro. Qualche volta si sono sentiti furbi, quando le urne sorridevano, ma subito dopo hanno fatto la figura dei fessi, che non solo non governano, ma portano voti ai Di Pietro e ai Vendola.
Se, da una parte e dall’altra, si tornasse a far politica si scoprirebbe che l’Italia ha le forze e le carte in regola per uscire da questa coazione alla conservazione dell’inutile. Per far politica, però, occorrono non solo gli esibizionisti della propaganda, ma anche persone con le idee chiare e la schiena dritta. Non cercatele fra i protagonisti di oggi.

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