Il rischio vero, per il governo, non è quello di andare incontro ad una crisi, ma d’incartarsi. Quello che corre il partito di maggioranza relativa, reggente il governo, ovvero il Popolo delle Libertà, non è quello di spaccarsi, ma di perdere credibilità. Silvio Berlusconi è certamente consapevole di questi pericoli, e quando afferma che tutto va nel migliore dei modi possibili, che tutto è perfetto e che l’importante è “fare”, usa il linguaggio costruttivo dell’ottimismo, ma tradisce la rabbia di chi vede ripetersi un film già visto, e dell’orrore: i primi tre anni, quelli che si sarebbero dovuti dedicare alle riforme strutturali e profonde, passati fra conquiste teoriche e arretramenti rovinosi, e gli ultimi due della legislatura dedicati ad una sorta di autocoscienza senza esiti.
Potremmo usare uno dei tanti temi aperti, quello davvero esemplare concerne le intercettazioni telefoniche: se ne parla da due anni e si media da altrettanti, ma è bastato che il presidente del Consiglio definisse definitivo un testo perché su quello si appuntassero i rilievi istituzionali (del Quirinale), quelli procedurali (con il contributo determinante del presidente della Camera) e quelli politici (con l’evidente spaccatura interna alla maggioranza). Il risultato è sconfortante: o si approva un testo insulso e controproducente, che consente d’intercettare anche i parlamentari, per par condicio dello spionaggio di massa, magari anche rinviandolo a settembre, in modo da gustare con più calma la sconfitta, oppure si rinuncia. Può darsi che sia il migliore dei mondi possibili, figuriamoci gli altri.
Tre membri del governo sono già caduti, sebbene accompagnati alla porta dalla solidarietà e dalla comprensione della maggioranza, e non credano che la partita sul sottosegretario alla giustizia, Giacomo Caliendo, possa considerarsi chiusa. Mentre per quel che riguarda il partito il problema non è l’esistenza di una minoranza interna, che sarebbe fisiologico se si stesse parlando di politica, ma il fatto che quel gruppo sa che per contare deve rendere impossibile la vita al governo, in modo da dovere essere chiamato ad una tavolo di trattative che non sia solo un tavolo di secondarie concessioni.
A ciò si è potuti giungere perché il presidente del Consiglio si trova in una difficile condizione: se non rompe resta prigioniero e se rompe c’è il rischio che il Presidente della Repubblica riprenda il mazzo delle carte e lo mischi a suo piacimento, come la Costituzione prevede che possa fare. Con l’aggravante che restando in mezzo al guado il governo può essere oggetto di mille assalti e agguati, scampando i quali tutto resta come prima, quindi senza gran miglioramenti, ma soccombendo anche ad uno solo si gioca la pelle o è costretto a retromarce precipitose.
Ripeto, al di là delle dichiarazioni rituali Berlusconi ne è pienamente consapevole, tanto è vero che ha deciso di non abbandonare il posto, neanche ad agosto, ha già avviato un’operazione di rinvigorimento propagandistico, con appositi pieghevoli che rammentino i risultati positivi conseguiti, e si dedica costantemente alla comunicazione, invitando i propri elettori e gli italiani tutti a non guardar troppo le difficoltà oggettive, ma a concentrarsi sulla sua volontà di superarle e guardare avanti. Insomma, è come se fosse già in campagna elettorale. Una campagna senza elezioni, però, destinata a non avere un punto di conclusione.
Il dato sostanziale è che non c’è, né in Parlamento né nel Paese, un’alternativa. Non c’è un’opposizione che faccia politica e costruisca le condizioni di un governo diverso. Anzi, in un certo senso, fra i punti di forza dell’attuale governo c’è l’assenza di un’opposizione vera, visto che quella chiassosa e protestataria degli estremisti (che non oserei mai definire di sinistra) serve solo a convincere gli italiani che Berlusconi è pur sempre il meglio. Come i sondaggi, del resto, puntualmente confermano. Ma, attenzione, questo non allevia affatto le difficoltà del governo, perché quella che dovrebbe essere l’opposizione politica diviene l’opposizione istituzionale, quel che dovrebbe servire a descrivere un diverso modo di governare si concentra semplicemente nell’impedire che si governi.
So bene che Berlusconi non si limita a non gradire questi ragionamenti, ma direttamente li detesta. Non ha tutti i torti, ma noi sappiamo che la sua forza elettorale consiste anche nella capacità (unica, in questo panorama) di evocare un sogno o, quanto meno, una legittima speranza di cambiamento. E’ un vantaggio, ma anche una responsabilità.