Intervenendo sulle vicende afghane Valerio Fioravanti commette errori gravi, e che sarebbe colpevole ignorare.
La guerra che le democrazie occidentali hanno mosso al governo talebano nasce dalla politica filoterrorista di quest’ultimo, e dalla necessità di non lasciare impuniti gli attentati dell’11 settembre. Ma, come già nei balcani, i motivi di un intervento erano largamente preesistenti: le democrazie non possono tollerare il genocidio e la negazione delle libertà.
Ovvio, la politica internazionale va messa al guinzaglio del realismo e non può non tenere conto degli equilibri geopolitici. Così capita che la causa della libertà venga gridata in un punto del globo e taciuta in un altro. E’ triste, ma è anche comprensibile e, comunque, nulla toglie al valore universale della libertà. Quindi non è vero che l’unica cosa che c’interessa è che l’Afghanistan la smetta d’essere culla dei terroristi, e che al governo di quel paese può andarci chiunque, anche un fesso negatore di libertà, purché non sia un nostro nemico. Non è vero affatto.
La libertà è un bene indivisibile, non è piena da nessuna parte se non è piena dappertutto, non è piena per nessuno se non è piena per tutti. E mentre tutti i totalitarismi inseguono una perversa e sanguinaria perfezione, la libertà si accontenta del meglio, rinunciando all’inumano ottimo.
Altro punto sul quale Fioravanti si sbaglia è quello in cui piega i sentimenti umani alla cinica corazza del politico. No, io piango, eccome se piango, alla notizia di quattro ragazzi palestinesi che saltano in aria prendendo a calci quello che sembrava un giocattolo, piango, eccome se piango, nel rivedere le immagini di quel bambino terrorizzato che il padre non riesce a proteggere. Questo non toglie nulla al mio essere filoisraeliano ed al mio conoscere le colpe ed i crimini dell’OLP. Se si perde la capacità di piangere è perché, in fondo, si è persa la considerazione umana per chi, da non combattente (ovvio) perde la vita. Si sottovaluta il valore della vita.