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Alcune considerazioni affilate, come un coltello di Pattada, sul voto sardo e la vittoria della candidata del centrosinistra Alessandra Todde.

Oggi è il giorno del clamore sardo, poi si dimenticherà. Eppure delle osservazioni e conseguenze generali ci sono. Non di poco conto e affilate come un coltello di Pattada.

  1. Sempre meno elettori alle urne. A questo giro il 52,4%. Non si tratta di una constatazione rituale, salvo poi passare a commentare le percentuali delle vittorie e delle sconfitte; si tratta di una questione molto più profonda, specie se si torna a volere mettere mano alla Costituzione: il vincitore che prenda la metà dei voti (che sono tanti) è votato dal 25% degli aventi diritto (che sono pochi). Prima di fare finta che si possa considerarlo un plebiscito legittimante, sarà il caso di pensarci.
  2. Bello giocare agli Staterelli, ma non c’è alcuna ragione logica, storica e politica per cui ciascuna Regione possa e debba votare in modo diverso. Per giunta inventando clausole che possono ritardare di un mese (come in Sardegna è già capitato) la proclamazione degli eletti.
  3. La destra ha perso. In particolare Meloni. Si può vederla come una tappa della corrida fra Meloni e Salvini, ma si possono anche considerare due aspetti generali: a. se il tuo presidente di Regione ha male amministrato lo dici prima del voto e prometti di cambiare andazzo, non invochi la continuità nella vittoria, che è perdente; b. prendere candidati estremi galvanizza le truppe, ma disamora gli elettori.
  4. Per far perdere la destra s’è persa la sinistra, perché essere riusciti a prevalere con un candidato pentastellato rafforzerà la segreteria Pd nel perseguire quella strada, ma non per questo le darà uno sbocco. Non a caso la candidata vincente non volle sul palco della chiusura i capi che non capeggiano.
  5. Un centro liberaldemocratico non si costruisce giocando tatticamente metà a destra e metà a sinistra, perché si raddoppia la mancanza di strategia.
  6. La destra trionfante ha preso una scoppola, ma più per demerito proprio che per merito dei concorrenti. E per quanto la gara al miglior perdente sia intrigante, resta poco promettente.

Davide Giacalone, La Ragione 27 febbraio 2024

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