In Sicilia si giocherà una partita decisiva, anche per i suoi riflessi nazionali. Il centro destra è politicamente agonizzante, il centro sinistra in una condizione straziante. Vincerà chi saprà far vincere i siciliani, in caso contrario prenderà più voti chi si consegnerà a quel che dell’isola ripugna. Che non è solo la mafia, né solo l’antimafia inutilmente parolaia e ideologizzata, ma un’economia assistita e depressiva, capace solo di produrre povertà futura.
La Sicilia è ostaggio del delirio clientelare e spartitorio, praticato dai suoi amministratori, capitanati da un Raffaele Lombardo oramai prossimo alla fine. Non è una questione esclusivamente morale, ma direttamente economica e civile, sicché faccio una proposta: chiunque vinca le prossime elezioni, che si tengano a scadenza naturale o anticipatamente, s’impegni, fin da ora, a smontare quel sistema di potere e a revocare nomine che pesano sulle spalle della gente onesta e delle vere vittime: i pagatori di tasse.
Lombardo è arrivato alla presidenza grazie all’appoggio del centrodestra e c’è rimasto grazie a quello del centro sinistra. Un esempio di trasformismo cui non è estraneo il coinvolgimento in giunta della procura della Repubblica. Un esempio pessimo, che interpreta l’elezione non come servizio alla collettività, ma come viatico per porre la collettività al proprio servizio. Il tutto in una regione devastata, con potenzialità di prima grandezza ma umiliata e offesa dal crescere insostenibile dell’economia assistita. Con politici che interpretano la specialità regionale quale strumento per sperimentare ogni cosa consenta loro di prolungare, fosse anche di qualche settimana, il profittare e il depauperare.
Le truppe lombardiane, i dirigenti assunti e nominati, l’occupazione di un potere tanto pomposo quanto inconsistente, non faranno che allargare i ranghi dei cinici e dei voltagabbana, pronti a consegnarsi ai nuovi vincitori, in omaggio al principio che sopravvivere è più importante che vivere. Chi crede che Lombardo stia gettando le basi del suo potere futuro s’illude, è un ottimista. In realtà sta affondando i piloni su cui si regge l’illusione del sempre uguale, la rassegnazione a che nulla cambi, il trascinarsi dell’inutile. A spese della collettività. Quindi, prima ancora che si creino privilegi inamovibili, prima che i nuovi assunti e promossi si credano conquistatori di vitalizi improduttivi, si comunichi loro che hanno le ore contate: finito Lombardo finiscono anche loro.
Conosco l’obiezione: alla vigilia di una campagna elettorale nessuno è disposto a posizioni così impopolari. Ma siamo sicuri che siano impopolari? Chi paga? Chi glielo racconta ai siciliani che ci rimetteranno e che non avranno mai nulla? La società sana, in Sicilia come in Italia, è assai più vasta di questa metastasi, solo che non ha coscienza di sé, non crede che la realtà possa essere differente, è assuefatta a perdere. Si tratta di comunicare che tale sconfitta li consegna alla povertà, a sua volta madre della disperazione e del degrado. La domanda corretta, quindi, è: chi ha il coraggio, andando alle urne, di dire ai siciliani che tale sarà la loro sorte, solo per garantire alle clientele quel che a loro sarà sottratto? Un programma che merita il più solenne dei pernacchi.
Pertanto vogliamo sapere, da chi si candiderà, da chi oggi è consigliere regionale, dai gruppi dirigenti del Pdl, del Pd e dell’Udc, da chi fa politica e da chi fa giornalismo: quanti sono disposti a promettere che, se avrà responsabilità democratiche, lo sconcio lombardiano sarà azzerato? Pochi o tanti che siano, ci sarà un modo per dividere chi merita ascolto da chi merita la condanna. Per ora politica, per il resto si vedrà.
Infine: i partiti siciliani sono a pezzi, a destra come a sinistra. La colpa è tutta loro, del loro avere associato viltà a inettitudine, del loro essersi scelti dirigenti intenti a dirigersi verso il personale tornaconto. Non pensino di uscirne stipulando alleanze ardite o candidando presunti indipendenti, da divorare il giorno appresso alle elezioni. Così facendo si contenderanno tutti lo stesso elettorato, ovvero la base sociale dell’economia assistita, divenendo l’incarnazione partitica della Sicilia senza avvenire. Occorre, invece, dare voce alla Sicilia che sa competere ed eccellere, come a quella degli esclusi, e si deve farlo parlando la lingua del buon senso, formulando proposte che giustifichino l’impegno delle persone per bene. I travestimenti non servono. Le trovate propagandistiche sono patetiche. Non ci sarà vittoria seria se non di chi è pronto a rompere i confini sterili di un presente che non merita e non può essere conservato. L’impegno che ho proposto è solo un primo passo, chi non saprà compiere neanche quello non merita d’essere preso in considerazione dai siciliani non caduti nel delirio, nel cinismo e nella rassegnazione.