Abbiamo lasciato il XX secolo e siamo entrati nel XXI con la destra che suonava l’allarme comunismo. Che era già crollato anche in Unione Sovietica. Navighiamo gli anni Venti del XXI secolo con la sinistra che intona l’allarme fascismo. Che nel mondo libero è stato sconfitto nel 1945. Alternandosi al governo, dal 1994, si sono vicendevolmente rimproverati il tentativo di creare un ‘regime’, ovvero di far convergere nelle proprie mani il potere legislativo, quello esecutivo, quello giudiziario e quello dell’informazione. Ciascuno di loro ha lamentato di avere contro tutta quanta l’informazione e di subire le aggressioni della magistratura, sicché non erano in grado di governare. E quest’ultima è un’affermazione realisticamente condivisibile, anche se poi – come Salvini ieri – pensano di intestarla alla «dittatura della minoranza». Commovente, detto da una minoranza.
La democrazia corre dei rischi, ma arrivano da un’altra parte e camminano sulle gambe di quelli che il Presidente della Repubblica ha chiamato «ignoranti della democrazia». I dispotismi del secolo scorso avevano in comune la mamma: l’ideologia. È morta. Sopravvivono gli orfani, oramai invecchiati e ridotti a macchiette. L’ideologia incarnava il bene. Il bene era l’interesse del popolo. Chi interpretava il bene era quindi dalla parte del popolo e quanti lo avversavano erano i nemici del popolo. Che pertanto andavano eliminati. La mamma baldracca giacque con i neri e con i rossi, generando bastardi che hanno rovinato i popoli. I nipoti sono diversi.
Oramai pochi invasati credono che vi sia un partito, una setta o una parrocchia unico interprete del bene. Tutti diamo per scontato che la legittimazione del potere deriva dal consenso elettorale. È sul ‘potere’ che gli ignoranti della democrazia possono fare danno.
Il primo articolo della nostra Costituzione recita «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Un concetto che, con parole diverse, si trova in tutte le leggi fondamentali delle democrazie. Significa che il popolo è sovrano, ma non è un sovrano assoluto. I «limiti» vanno rispettati. Quei limiti sono lo Stato di diritto, senza il quale non esiste democrazia ma soltanto una vuota e dispotica votocrazia (come in Iran, come in Russia, come in troppi altri posti). È questo che i populismi non capiscono, è in questo che i populismi incarnano l’ignoranza della democrazia: credono che il popolo sia un sovrano assoluto e che deleghi quell’assolutismo a chi prende più voti. La cosa grottesca è che lo pensano prendendo una minoranza di voti, che si traducono in molti eletti grazie alle regole democratiche scritte da quelli che intendono soppiantare.
Ma nessuno ha mai accettato di incarnare il male – tutti vogliono interpretare il bene – ed è per questa ragione che le dittature comuniste dell’Est, nel secolo scorso, si chiamavano ‘democratiche’. È per questo che gli antieuropeisti intitolano all’Europa i loro gruppi parlamentari europei.
Vanno combattuti, ma come? I fronti ‘anti’ non servono, perché possono anche prevalere ma: 1. consegnano all’avversario il ruolo di protagonista, riservando a sé la mera contrapposizione; 2. non sono in grado di governare, perché sommano opposti. L’Italia è un ottimo esempio, con trent’anni di false coalizioni alle spalle.
Chi l’Italia la gira senza sosta sa che le persone non sono matte ma avvelenate dalla contrapposizione. Il ruolo migliore è riuscire a dire cose che sembrano sgradevoli – dalla spesa pubblica alla concorrenza – indicandone la convenienza. Si chiama far politica e richiede la cultura di chi sa che la democrazia è fatica, non è mai comando ed è costante convincimento. Ricordando sempre che il nostro mondo è felicemente e orgogliosamente imperfetto, sa di esserlo e vuole esserlo. Che senza l’imperfezione non c’è libertà e che noi non siamo liberi perché siamo ricchi, ma siamo ricchi perché siamo liberi. Il populista ha già la replica pronta: «In che mondo vivi? La povertà dilaga». Dategli retta – sperando di scucire o difendere qualche soldo o privilegio – e coronerà il sogno di miseria.
Davide Giacalone, La Ragione 5 luglio 2024