Fa una certa impressione che Matteo Renzi utilizzi un linguaggio da imputato. Dice: noi siamo diversi, non siamo quelli che puntano alla prescrizione o invocano il legittimo impedimento, noi vogliamo le sentenze. Ma, appunto, la prescrizione o il legittimo impedimento sono parte della procedura penale, si possono invocare o usare solo da imputati. Non risulta che vi siano membri del governo (o ex) in quelle condizioni. Neanche indagati. E, per quanto ci si possa sentire vicini a chi è indagato o imputato, è davvero singolare che si trasferisca in politica quel sentimento di umana solidarietà (ma verso chi, nel caso specifico?). Si ha l’impressione, insomma, che fra telefonate inopportune; dimissioni che si pensavano risolutive e non lo sono state; affermazioni iniziali di estraneità (il ministro Boschi porta le carte, mica ne condivide la responsabilità, con tanti saluti alla Costituzione); poi convertite in appassionate rivendicazioni di paternità, talché se l’emendamento lo ha scritto Renzi, come dice, perché mai ha dovuto emendare un testo che era stato scritto dal suo stesso governo? tanto valeva scriverlo nel testo di partenza; si ha l’impressione, in questo caos, che si sia persa la testa.
Il che riporta a una maledizione. L’opinione pubblica è mitridatizzata, da un quarto di secolo di giustizialismo forsennato. In altri momenti sarebbe bastato il falso sulla dichiarazione di residenza (a proposito: non è di buon gusto volere mandare in galera chi lo fa per il canone Rai, dopo quel che successe a Firenze) per scatenare un’incontenibile buriana. Invece fu messo facilmente a tacere. Neanche i padri, variamente indagati, hanno incrinato la stabilità del governo e della sua guida. Insomma, a volere mettere mano a una vera riforma della giustizia, non quattro camomillette procedurali, in modo da rendere efficace e responsabile l’azione penale, effettivi i tempi processuali, in modo da evitare le inchieste senza processi, ce ne sarebbe stata la condizione. Invece, ancora una volta, la maledizione del rinvio ha colpito: diverse maggioranze e governi hanno debuttato consapevoli di dovere affrontare il problema, mettendo anche in conto la rivolta dell’associazionismo togato, ma hanno atteso, rinviato, neanche negoziato, ma temporeggiato, per poi accorgersi che il potere più forte li aveva già azzannati e divisi, facendo sfumare le forze e l’occasione. Che le inchieste “bloccanti” siano (state) fondate o meno è un dettaglio del tutto trascurabile, tanto si sarà chiarito ben dopo che il governo (di turno) sarà finito.
Rieccoci, quindi, a marcire nelle ipocrisie nazionali. Compresa quella che se si lavora per lo sblocco dei lavori, la rottura di vincoli assurdi e il superamento di sovrapposizioni amministrative, si fa cosa più che buona e più che giusta. Ma se anziché farlo mediante un cambio delle regole e dei controlli lo si fa caso per caso, infilandone i codicilli, di notte, fra centinaia e centinaia di comma di un’articolessa illeggibile, il rischio della parzialità prezzolata è elevato. In conto proprio o altrui fa differenza sul piano penale, non su quello politico e dell’interesse generale.
Pubblicato da Libero