Casa c’è di più giusto ed ovvio che chiedere la pace? Cosa di più nobile dell’affermare che due popoli possono convivere nella pace? Che israeliani e palestinesi detengono due diritti parimenti legittimi?
Tre bei concetti facili facili, che applicati al medio oriente significano che Israele deve ritirarsi dai territori occupati ed i palestinesi uscire dai campi profughi e vivere in un loro Stato. Israele ascolti la voce di chi vuole fermarne la mano armata, e gli israeliani si facciano macellare in ossequio al comune sentire dell’egoismo occidentale. Noi marciamo perché la pensiamo diversamente.
Marciamo perché l’unica democrazia che galleggia in quella parte del globo ha vissuto e vive sotto la continua ed inarrestata minaccia di essere spazzata via, perché il suo nemico non è il popolo palestinese, ma chi utilizza un dramma per mettere a repentaglio la sicurezza e la sopravvivenza stessa di uno Stato, Israele, che vive legittimamente in quel territorio. Marciamo perché l’opinione pubblica mondiale è il vero obiettivo di una guerra fatta d’immagini, nella quale si mandano bimbi e ragazzi a morire pur di alimentare la leggenda di una guerra fatta a mani nude, contro un esercito ipertecnologizzato. Marciamo contro il cinismo di teocrazie e dispotismi arabi che sentono il problema palestinese solo come scusa per alimentare la guerra ad Israele.
Gli israeliani sono parte di noi stessi in un mondo che non ha digerito la cultura democratica dell’occidente. Abbandonarli, anche solo attenuare la nostra solidarietà, non significa tradire loro, ma tradire noi stessi.
Israele è una democrazia, ed anche nel mentre conta i propri morti, nel mentre raccoglie i corpi di civili innocenti che si trovavano al bar, od in discoteca, o su un autobus, non fa tacere la voce del dissenso interno. E’ possibile essere israeliani e non condividere la condotta del proprio governo. Gli uomini e le donne di Palestina non dispongono dello stesso diritto. Nel difendere la causa dello Stato israeliano, quindi, difendiamo anche la causa degli uomini liberi, e fra questi per primi di quei palestinesi che non si siano addormentati nell’incubo del fanatismo e del razzismo.
Talora ci viene ricordato che chi spinge la propria battaglia fino a utilizzare la propria morte, chi si fa saltare in aria, non può non essere animato da convinzioni profonde, per ciò stesso degne di rispetto. Non è così. Basterebbe diffondere i testi che vengono recitati da quei giovani, accecati dall’ignoranza del fanatismo, che si apprestano a procurare morte con la loro morte, basterebbe sentirli per trovare un linguaggio proprio dell’antisemitismo nazista. Noi marciamo anche perché i loro fratelli possano essere sottratti alla vergogna di quel linguaggio e di quelle idee.
I campi profughi, le condizioni di vita proprie di chi non ha una patria, le inevitabili violenze di un esercito che viene vissuto come esercito d’occupazione, sono tutte cose che mal si conciliano con il pacato ragionare, che, anzi, sollecitano e producono estremismo. Gli estremismi, come sempre, si nutrono e reggono a vicenda. Di questo siamo ben consapevoli e ciò c’induce ad esprimere la più dura condanna di chi ha fatto saltare tutti i tavoli di trattativa, tutte le occasioni di pace, pur di mantenere un ruolo che la storia non potrà mai considerare né eroico, né patriottico.
A chi maschera la propria ipocrisia affermando “siamo tutti ebrei”, rispondiamo dicendo che ci sentiamo tutti palestinesi, vittime di chi se ne infischia della nostra vita pur di provocare la morte altrui.