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Con nazarena accondiscendenza la destra ha deciso di intestarsi la responsabilità della mancata elezione dei due giudici costituzionali mancanti. O forse non lo ha deciso, ma se la becca lo stesso cambiando a ripetizione i nomi dei propri candidati, salvo poi non votarli. Laddove è piuttosto evidente che l’incaglio sta dall’altra parte, con un Luciano Violante che coagula più a destra che a sinistra.

Posto che il voto segreto non consente certezze, la immagino così: Violante ha dei cecchini che sparano più che altro da sinistra, mentre Antonio Catricalà, Donato Bruno e Francesco Caramazza ne hanno avuti sia da destra che da sinistra. Difatti prendono meno voti. Dalla settimana prossima, inoltre, non solo mancheranno due giudici della Corte costituzionale, ma non ci sarà più neanche il presidente. Scaduto qualche giorno dopo essere stato eletto. Sicché Giuseppe Tesauro avrebbe potuto e dovuto risparmiarsi il predicozzo sulla delegittimazione della Consulta: nessuno è riuscito a danneggiarla più di quelli (tanti, troppi) che come lui hanno accettato d’essere presidenti sveltina.

Taluno sostiene che Violante dovrebbe ritirare la propria candidatura, che per sedici volte (martedì ci sarà la diciassettesima, con annessi scongiuri) non ha raccolto i 570 voti necessari. Tesi bislacca, perché non esiste la candidatura alla Corte. Tanto è vero che Bruno ha preso 66 voti dopo essere stato sostituito da Caramazza. E’ il Parlamento, riunito in seduta congiunta, a votare liberamente (oltre che inutilmente), non il Tizio o la Caia a proporsi per la più ambita toga. Resta il fatto, si osserva, che Violante potrebbe fare come Catricalà, manifestando la propria personale indisponibilità. Dubito che sia una procedura corretta ed è di per sé singolare che un cittadino si dichiari indisponibile a quel ruolo. Suona un po’ offesa alle istituzioni. Ma a parte questo, che son cose avvertite da pochini, se Violante si ritirasse farebbe un gran piacere a quelli che, nel suo partito, il Partito democratico, fin dall’inizio non lo voglio. Magari pensando a Lorenza Carlassare. E non è la minoranza. Quindi, a ben vedere, non è questione che Violante faccia un passo indietro (come si dice con formula orribile), ma che faccia un passo avanti lo scontro interno ai due schieramenti.

Il tandem nazareno era quello iniziale: Catricalà-Violante. E’ stato distrutto. Ciò dimostra che i gruppi parlamentari subiscono quel patto, ma solo quando si deve votare allo scoperto o quando dal voto dipende la durata del proprio seggio. Se si è al riparo da questi rischi, si prende a sparacchiare manco fossimo al tiro a segno. A questo si aggiunga l’azzardato intervento di Giorgio Napolitano, che reclamando un voto per quel tandem e volendolo in fretta, ha commesso un doppio errore: è entrato in una faccenda che non gli compete (teoricamente quei giudici sono quelli preposti a giudicarlo) e ha indicato un tema, quello del funzionamento degli organi costituzionali e dell’intralcio che il Parlamento arreca alla Corte, per il quale sarebbe giustificato quel che il Colle non vuole: lo scioglimento anticipato.

Questa è la scena inconsulta: una partita tutt’altro che decisiva, ma pur sempre blasonata, che offre la possibilità di bastonare i contraenti di un patto che in ciascuna delle partiti è detestato da quanti detestano il proprio contraente. Può darsi si vada ancora avanti a lungo, come può darsi si chiuda considerando sufficiente lo sfinimento. Cambia poco, perché il predatore addomesticato, che sia un pastore tedesco o un franco tiratore, è difficile dimentichi il sapore del sangue, dopo averlo goduto fra le fauci.

Pubblicato da Libero

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