Politica

Incubo libico

Quel che accade in Libia misura il fallimento dell’intelligence e della politica occidentali. Gli interessi italiani sono fra i più esposti e non si è riusciti a fare della crisi mediterranea un affare europeo. Questa roba si paga, e la pagheremo. Intanto ci becchiamo lo spettacolo di un Gheddafi che dà lezioni di realismo e si erge a diga contro il fondamentalismo islamico, mentre l’Onu vaneggia d’inchieste internazionali che chiudono le vie d’uscita e aprono voragini fra i soci occidentali del regime.

Nella narrazione pubblica dei fatti libici s’è raccontato che la rivolta avrebbe spazzato via il colonnello, dipinto come una specie di pazzo. Le cose stanno diversamente: se gli oppositori non riceveranno aiuti militari sono destinati a soccombere e, pertanto, l’unico modo per chiudere la partita senza internazionalizzare il conflitto consiste nell’ammazzare Gheddafi dentro la sua tenda, per mano di agenti infiltrati. Ci hanno provato tre volte in pochi giorni e tre volte hanno fallito. Nel frattempo lui offre la pace alla Cirenaica, arruolando come primo ministro un loro uomo e promettendo maggiori dividendi petroliferi. Non accetta mediazioni colorite, come quella di Chavez, ma sfida apertamente gli statunitensi dal provare a sparare un solo colpo, ben sapendo che il Pentagono è contrario e che quell’eventualità solleverebbe la protesta dei Paesi arabi, compresi quelli che hanno Gheddafi sul gozzo. Tale protesta avrebbe conseguenze pericolose in Arabia Saudita, dove il re, Abdullah, è tanto amico degli Usa quanto vicino alla fine. Dal bunker ove è rinchiuso manda a dire agli inglesi che hanno sbagliato tutto, ai francesi di trattare e agli italiani di non stare fra i piedi. Al massimo abbiamo il diritto di sfamare i disperati che approdano dalle nostre parti, pregando il cielo che non si moltiplichino per mille.

Noi abbiamo annaspato. All’inizio tacevamo, nel mentre i media occidentali davano Gheddafi per finito, in questo modo consolidando la fama di amici del colonnello. C’è mancata la forza di chiarire che noi abbiamo intensificato gli affari petroliferi con lui da quando, giustamente, gli americani ci hanno chiesto di piantarla con gli iraniani (visto che questi, al contrario del beduino, sono una minaccia atomica), e che gli inglesi hanno fatto assai più che baciargli la mano, pur di attingere al petrolio. Poi ci siamo allineati al grido d’attacco, lanciato da chi, però, non ha voglia di attaccare. E gli abbiamo portato fortuna, perché ha cominciato a riprendersi.

La situazione di stallo ci vede nelle peggiori condizioni, perché siamo i primi a subirne le conseguenze: economiche, politiche e umanitarie. Abbiamo messo a disposizione le nostre basi aeree, che, però, tornano utili solo in caso di guerra. Le dichiarazioni Nato non vanno in questa direzione, sono tonitruanti, ma impotenti. Si attende di sapere se Obama prevarrà sui suoi militari. E’ troppo tardi per tornare indietro ed è troppo pericoloso andare avanti. Stavamo facendo affari con i libici, ora rischiano di costarci. Sconfitta l’intelligence, spiazzata la politica, non ci resta che sperare che una delle favolose amazzoni provveda al posto nostro.

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