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InDebito

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Indebito l’allarme per il debito pubblico che ha superato i 3mila miliardi. Essere così esageratamente in debito esercita molta pressione, ma non è la soglia che deve impressionare. In valore assoluto il debito continua e continuerà a crescere – che di suo non è una bella cosa – ma l’allarme è bene che suoni quando cresce in rapporto al Prodotto interno lordo, non in valore assoluto, e quando il suo costo cresce più velocemente della crescita della ricchezza prodotta.

Fra il 2021 e il 2023 il peso del debito sul Pil è sceso dal 154,3% al 134,8%. La più veloce decrescita da quando ha cominciato la sua lunga ascesa, già negli anni Settanta del secolo scorso. Ma nel 2024 è risalito al 135,8% e nel 2025, secondo le previsioni del governo, salirà ancora al 135,9%. Come si vede è successo quel che qui avevamo anticipato, senza alcun merito se non quello del buon senso: l’esagerata previsione di crescita – che il governo aveva formulato per il 2024, smentita già nei primi mesi dalla ben più azzeccata previsione della Banca d’Italia – ha avuto come effetto quello di veder crescere anziché diminuire (come si pretendeva) il peso del debito. La sua discesa, sempre secondo i conti del governo, dovrebbe ricominciare nel 2026 e protrarsi per tutti gli anni successivi. Ci torniamo subito.

Il suo costo, nel 2025, dovrebbe essere di 10 miliardi inferiore alle precedenti previsioni, grazie alla discesa dello spread. Quel costo è comunque enorme e il successo di mercato dei titoli del debito pubblico italiano è dovuto al fatto che siamo dei pagatori puntuali, ma paghiamo anche più di tutti. Lo spread in calo diminuisce quella differenza – a nostro svantaggio – ma non la cancella. Dunque la condizione è comunque preoccupante e l’equilibrio instabile, ma la tranquillità che ora circonda il debito esagerato è dovuta alla disciplina di bilancio cui il governo si è meritoriamente attenuto, mentre la crescita, asfittica, è comunque retta dagli investimenti finanziati dai fondi europei. Insomma, la tranquillità si deve a una realtà in cui chi governa fa il contrario di quel che aveva sostenuto, mantenendo la copertura difensiva europea. Una positiva incoerenza.

Epperò ci sono diversi problemi. Prendete la surreale discussione sull’aggiornamento Inps dei limiti pensionabili a partire dal 2027, laddove le opposizioni tacciono e la maggioranza si è scagliata contro l’Inps che ha applicato la legge e ricalcolato un aumento di tre mesi all’età pensionabile, sulla base degli incontestabili (e positivi) numeri relativi alla speranza di vita. Ora il ministro dell’Economia, cui va il merito del rigore, segue la corrente e dice che si può non applicare la legge e non seguire l’Inps. Significa che o aumenta il debito pubblico o aumenta l’onere a carico dei lavoratori. E si andrà incontro a un brusco aumento dell’età pensionabile, dopo il 2027. Tutte cose che portano conseguenze negative sulla stabilità e sui consumi.

Si osservi poi l’andamento dell’occupazione e quello della produttività: la prima sale e la seconda arranca e, da ultimo, scende. Vuol dire che si stanno creando molti posti di lavoro a basso valore aggiunto e, quindi, con bassi salari. Non proprio da festeggiare.

In Germania voteranno il prossimo mese. I mezzi d’informazione parlano quasi esclusivamente di AfD, l’estrema destra, in ascesa (l’eccezione è Mennitti, su queste pagine), ma è prevedibile che il primo partito saranno i cristianodemocratici che, se riusciranno a formare un governo, hanno un programma di riduzione del peso fiscale sui salari, maggiore concorrenza, più produttività e riforme. Quello che noi non stiamo facendo. Il tutto con un debito pubblico che resta basso e che non stanno facendo a gara per provare a gonfiarlo.

Attenzione, perché credere che l’equilibrio italiano di oggi sia il frutto delle decisioni prese in mattinata e che quello futuro sarà uguale all’odierno sono due sogni propagandistici e superstiziosi. Privi di fondamento. E il risveglio non sarà sereno.

Davide Giacalone, La Ragione 17 gennaio 2025

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