Politica

Infilzando David

Ci sono diversi modi per infilzare la stella di David. Chi ha accoltellato un signore ebreo, a Milano, nel mentre deambulava in normale serenità, può rivelarsi un fanatico fondamentalista o un cretino, in ogni caso che sia identificato e punito. Il guaio vero è non capire fino a che punto quella lama ci ha trafitto tutti, fino a che punto la violenza perbenino di chi detesta Israele è una minaccia per noi tutti. Il guaio più grosso sta nel credere che, per occidentali satolli e smorfiosi, Israele possa essere un problema, uno Stato da difendere nonostante non se ne condivida la politica, laddove, all’opposto, è la sola cosa che possiamo opporre alla rassegnazione di chi non sa come gestire la propria identità. Ammesso che la conosca.

L’accoltellatore vada in galera. Il ferito si rimetta e conservi dell’Italia un ricordo non ristretto a quel pessimo momento. Però si chiarisca a che il marchio ai prodotti israeliani, destinato a distinguere quelli lavorati oltre la linea verde del 1967 (orrendamente e grossolanamente indicati come “territori occupati”), se lo devono appiccicare sulla fronte. In modo che, guardandosi allo specchio, non sfugga loro la bassezza cui si sono prestati.

Quel marchio è un grossolano errore di politica estera, perché dovrà essere riprodotto decine e decine di volte, per altri territori contesi, con il risultato di rendere i prodotti di consumo strumenti di guerra. L’idea del marchio può essere venuta solo a chi non sa nulla di storia e non ha alcuna cognizione di come sia combinato il mondo. Oltre a ciò, che largamente prevale, ci vuole una dose gigantesca di scemenza per accostare l’idea di “marchio” a Israele, senza che si accendano tutti i possibili allarmi. Una roba simile poteva essere fatta solo dopo averla concordata con Israele. In via autonoma merita una pernacchia continentale. Lo strafalcione è stato pubblico, pubblica deve essere la marcia indietro.

Riservatamente, invece, il governo approfitti della visita del presidente iraniano, per chiarire un paio di cose. E’ sciocco supporre che si possano avere rapporti diplomatici e commerciali solo con i democratici e i tolleranti, naturalmente praticanti la non-violenza. Messa così non si rimane neanche da soli. Nel tessere rapporti internazionali (possibilmente avendo le idee chiare sui nostri interessi geostrategici) si accetta il dialogo con chi è diverso. La corsa agli affari, del resto, è legittima, ma quando è ben costruita porta con sé, dopo se non subito, una crescita della ricchezza diffusa e della libertà (le dittature producono miseria). Riservatamente, però, al presidente Rohani si dica: a. il mondo occidentale fa finta di credere che l’accordo sul nucleare sia reale e sarà rispettato, speriamo vada così, in caso contrario il rientro dell’Iran nel consesso diplomatico sarà attraverso una porta girevole, talché sarete fuori in un attimo; b. la prova che volete uscire dall’isolamento, ma non per aggredire, la vogliamo su Israele: avevate detto che andava cancellato dalla carta geografica, ora trovate il modo di fissare la sicurezza di quello Stato fra le condizioni per dialogare con noi. Nessuno chiede di portarli dal barbitonsore, ma loro non credano di farci un baffo.

Perché Israele è così importante? Per mille ragioni, ma una mi pare sfuggire, nonostante l’evidenza. Ed è clamoroso. Una scuola fiorentina non va alla mostra “Bellezza divina”, per non offendere la sensibilità dei non cristiani, datosi che ci sono quadri con croci e altre simbologie. Vabbé, non esageriamola, diciamo che fra preside e insegnanti c’è poca gente, da quelle parti, con la vocazione alla cultura. Ma il problema non è mica solo lì. Allora sarà bene ricordare a noi stessi che il cristianesimo, frutto della predicazione di Gesù, non crea un problema all’islam (che è successivo), ma al mondo ebraico (i cui testi sacri, in gran parte gli stessi del vecchio testamento, preesistono). Se Gesù è il Cristo il popolo eletto non esiste più. Mentre nel testo sacro dell’islam quella figura è assorbita, sebbene declassata a “profeta”, come anche quella della madre. Ma allora, perché prima non ci si è mai posti il problema del rispetto degli ebrei e della loro sensibilità? Perché non lo si è fatto nei confronti dei non credenti? La risposta è fondamentale: perché la civiltà impone il rispetto delle diversità, senza rinunciare alle identità. I due principi non sono conciliabili sono allorquando credo sia mio diritto e dovere annientarti. La stella di David è nella nostra civiltà, proprio perché avevamo imparato a tenere separate le fedi dalla convivenza, la religione dallo Stato laico.

Se questa roba la marchiamo, trascuriamo, trattiamo con fastidio, non è Israele che avviamo alla fine, ma noi stessi.

Pubblicato da Libero

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