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Invariati

Invariati

Rieccoli! La loro ricomparsa non significa che fossero scomparsi: sono sempre stati lì, hanno presieduto tutte le discussioni sulle leggi di bilancio, hanno assistito divertiti a tutte le liti, hanno orientato tutti i governi e dispettosamente dimostrato il loro somigliarsi e ora, a seguito della solita baruffa arruffata, sono stati richiamati in ballo: i saldi invariati. Non serve che accendiate loro un cero votivo, ma è bene che ne riconosciate il significato: le leggi di bilancio non vengono strutturate per ottenere qualcosa, ma per evitare lo sbraco; non per puntare a un risultato, ma per spuntarla da un pericolo.

La legge di bilancio dovrebbe essere il quadro contabile annuale del programma di governo. Giustamente, nel riformato Patto di stabilità europeo, si prevede una loro programmazione quinquennale, che ha diversi significati: a. nessun governo può esaurire le cose da farsi in un anno e quindi è meglio mettere in fila un lustro di impegni e obiettivi; b. nel corso di quel tempo ci saranno elezioni politiche, quindi dev’essere chiaro che i governi possono essere diversi ma il Paese è sempre lo stesso e che gli impegni presi non si cancellano; c. il che dovrebbe indurre a scrivere bilanci che risentano sì dell’orientamento della maggioranza ma ascoltino le buone ragioni della minoranza, che domani potrebbe essere maggioranza e trovarsi a dare seguito al piano strutturale di bilancio (Psb).

Il bilancio deve mettere in fila le cifre che si ritiene possano accompagnare la visione politica, ovviamente partendo dalla realtà e descrivendo – capitolo per capitolo – dove si metteranno i soldi e da dove si prenderanno. Non è un lavoro da ragionieri, ma da classe dirigente che ha in mente cosa fare del proprio Paese.

I mitici saldi invariati sono la negazione di tutto questo. La loro prevalenza sta a dimostrare che forse nell’intento iniziale il bilancio è quel che dovrebbe essere, ma siccome il grosso dello sforzo si concentra nel ripartire le poche risorse (non perché siano poche in natura, ma perché per la grande parte sono già impegnate) il bilancio si riduce a una presa d’atto della realtà e nel tentativo di potere dire che qualche cosa si farà: qualche sgravio che non sgravi molto e qualche impegno di spesa che non costi troppo. Letto il testo, si esprime un giudizio positivo perché non sbraca e tiene i conti in equilibrio. Anzi, ci si congratula proprio per questo, rassegnati a non discutere della visione di cui quello dovrebbe essere il mero incolonnamento contabile.

Epperò non è così facile, perché le maggioranze sono composite e non si fa a tempo a depositare il testo – pur approvato da tutti e da ciascuno considerato (ammesso lo si sia letto) un abbozzo – che già partono le goldoniane baruffe: quella tassazione è sbagliata; quell’altra è troppo bassa; quella spesa va difesa; quell’altra aumentata. Un casotto che capovolge il ragionamento: non il bilancio come contabilità del fare, ma la legge di bilancio con accaparramento di poste con cui potere fare o, almeno, promettere. Ed è a quel punto che nella chiassosa asta della spesa il ministro dell’Economia – e nei casi gravi il capo del governo (lo so che è inutile, ma l’ignoranza si contagia più velocemente della peste: in Italia non è mai esistito un premier) – affigge l’avviso ai litiganti: fate un po’ come vi pare, ma a saldi invariati. Il presupposto è: i soldi della spesa corrente non si toccano, quel che avanza spostatelo pure pescando pagliuzze a caso e non sapendo quanto sono lunghe, ma la differenza fra entrate e uscite (il saldo) non si tocca. E fa 3% di deficit.

Perché? Facile: perché la legge non è ancora stata discussa ma il piano quinquennale sì, in applicazione di quello il progetto di bilancio è già stato inviato alla Commissione e fare gli spiritosi significherebbe non uscire dalla procedura d’infrazione e accollarsi su quel bilancio tutte le spese per la difesa. E adesso, se ci tenete, potete anche andare in cortile a giocare al piccolo politicante.

Davide Giacalone, La Ragione 25 ottobre 2025

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