Politica

Islam e democrazia

L’Islam è compatibile con la democrazia? Il dubbio è lecito, ma il quesito contiene un tasso eccessivo d’ipocrisia. La risposta, del resto, non ha nulla a che vedere con la religione.

Seicento anni dopo Cristo, Maometto non dovette ripetere di dare a Cesare. Non solo perché Cesare era morto, ma perché, dalle parti di Maometto, non era mai nato. Il cristianesimo, nelle sue varie versioni e diramazioni, dovette, fin da subito, fare i conti con l’impero, con l’entità statuale. Paolo lo capì, comprese quale enorme potenziale vi fosse nell’uso di quella forza e trasferì a Roma la capitale della cristianità. Maometto, ed i suoi discendenti, al contrario, furono essi stessi un collante d’identità protostatuale, vissero il problema in modo opposto: fu Maometto, dialogando con l’arcangelo Gabriele, a farsi Cesare; le città capitali ebbero a che fare con la sua biografia, non con la forza dello stato.
Limitarsi, oggi, ad osservare che la democrazia non ha dato grandi prove di sé in territorio islamico serve a poco, e non serve, comunque, a stabilire una sorta d’incompatibilità. Il fatto è che la democrazia, per funzionare, richiede l’interiorizzazione del pensiero machiavellico, secondo il quale la morale politica è indipendente dalla morale religiosa.
Non è privo di significato, oltre tutto, il fatto che l’Islam fu assai più tollerante, nei confronti degli infedeli, di quanto lo sia stato il cattolicesimo. E ciò dimostra che la deriva fondamentalista non è affatto iscritta nel suo codice genetico, non ne è una caratteristica derivata ed obbligatoria.
La democrazia non è affatto incompatibile con l’Islam, né con nessun’altra religione. La democrazia è incompatibile con il fondamentalismo, ovvero con l’idea che sulla terra si applicano le leggi di dio (che un infedele, del resto, non considera affatto divine). La democrazia è incompatibile con le leggi coraniche tanto quanto lo è con le leggi bibliche. Il tribunale dell’inquisizione ed il papa re sono lontani, dalla compatibilità democratica, tanto quanto lo sono i tribunali islamici e gli sceicchi custodi della fede.
La democrazia non è incompatibile con i partiti religiosi: ve ne sono in Israele, ve ne sono stati in Italia, in Germania, e così via. La democrazia è incompatibile con l’idea che la religione, ed il suo eventuale capo, abbiano una legittimità superiore alle leggi terrene, che regolano la civile convivenza. I convincimenti religiosi esercitano un’influenza sulla vita politica, lì come qui, ma la democrazia s’invera quando il passaggio di una norma non coerente con il credo (il divorzio, l’aborto, per parlare di casa nostra) non provoca altra conseguenza che il pubblico disappunto del clero.
Ancora i nostri padri sono nati in un’Italia che non conosceva la libertà, che proclamava la religione di Stato, e con le gerarchie cattoliche che benedivano i gagliardetti fascisti. Invece di dar lezioni di presunta civiltà, quindi, si tratta di rimboccarsi le maniche per creare le condizioni di sviluppo, di libertà d’intrapresa, un’equa distribuzione del reddito. Per fare questo potrà occorrere, ed è occorsa, la forza, ma è l’unica possibilità che esiste per dare voce alle coscienze libere, che esistono lì cosi come esistettero ed esistono qui.
Che siano le sinistre, oggi, a ritenere blasfema la lotta contro le teocrazie non depone a favore della buona salute di queste ultime, ma, semmai, a sfavore delle prime.

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