Politica

Israele e l’Iran

Si sta scrivendo una pagina molto bella, nei rapporti fra Italia e Israele. Una molto importante, nella nostra politica estera. Il nostro presidente del Consiglio entra e prende la parola nella Knesset, il Parlamento israeliano. Un onore riservato a pochi, che dovrebbe inorgoglire tutti gli italiani, che colma di gioia quanti si sono battuti per il rispetto della sicurezza israeliana, vedendo nella stella di David un simbolo di libertà e rispetto per l’umanità.

Le parole sulla questione iraniana sono nette e inequivocabili: non solo si afferma senza mezzi termini che il regime di Teheran sta correndo verso la bomba atomica, non solo si condivide la necessità di sanzioni forti, ma si riconosce la gravità del negazionismo fondamentalista, della riaffermata volontà di cancellare Israele dalla carta geografica, accostando Ahmadinejad ai nazisti. Non sono parole facili, o di circostanza, perché siamo il primo partner commerciale dell’Iran e perché il governo Prodi, sventuratamente e nel silenzio quasi generale, inviò una lettera ufficiale con la quale riconosceva il diritto iraniano a essere potenza regionale. Una pura follia, che fece impallidire la politica filoaraba di stampo andreottiano. Ieri, a Gerusalemme, Berlusconi ha utilizzato altro e migliore linguaggio. Ci vorrà del tempo, per modificare quei rapporti, che, speriamo, servirà anche a cambiare l’Iran. Intanto, però, gli inviti rivolti ai siriani sono chiarissimi e mirano a rompere la comunanza d’interessi con un regime che Mousavi definisce, ove mai ce ne sia bisogno, “dittatura”.

Sul fronte dei rapporti con Israele, Berlusconi ha ripetutamente dato il meglio di sé. Non si smentisce. Ha destato attenzione la proposta di avere Israele nell’Unione Europea, provocando anche qualche commento politicamente e culturalmente sgrammaticato, ma non è nuova. Israele è già Europa, è un pezzo della nostra storia, un brano della nostra carne. Per questo abbandonarla sarebbe un suicidio. In molti si sono soffermati su un passaggio dell’intervista di Berlusconi al quotidiano Haaretz, liberale e non filogovernativo, nel quale si critica la politica israeliana nei territori occupati e nelle colonie. Ma sono le cose che diceva Ariel Sharon, che contro i coloni israeliani mosse l’esercito israeliano. Le due cose, il richiamo europeo e quello alle colonie, sono legate da un comune significato.

Per ottenere la pace è necessario che il mondo civilizzato e democratico senta la sicurezza d’Israele come un problema proprio. La nuova presidenza statunitense, in materia, è stata assai lacunosa. L’Europa istituzione, con la sua sconosciuta Lady Ashton, è inesistente. Fissare quel principio, pertanto, è indispensabile. Ma la pace dipende anche dall’esistenza di un interlocutore affidabile, il che significa dare forza e autorevolezza ai palestinesi di Abu Mazen. Quando si parla dei territori si parla a loro. Ma, per comprendere il senso del richiamo, occorre aggiungere quel che lo ha seguito: l’invito alla Siria a non continuare il finanziamento e l’appoggio verso le fazioni fondamentaliste e terroristiche. Non ci sarà pace, finché Hamas ed Hezbollah terranno in ostaggio i palestinesi.

Ho il massimo rispetto per la giornata della memoria e le celebrazioni contro lo sterminio degli ebrei. Ma quel che il governo Italiano sta facendo, con la sua opportunamente massiccia e affollata visita in Israele, è molto di più. E’ un peccato, anzi, un delitto, che politici e commentatori non trovino il modo, senza pregiudiziali di schieramento, di una pubblica riflessione e di un sincero compiacimento.

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