Istruttivo e distruttivo, lo scontro sui contributi che le emittenti televisive devono pagare per l’uso delle frequenze digitali. E’ istruttivo che tutti si concentrino su quanto dovranno scucire la Rai e Mediaset (e chi se ne importa), o su quanto questo incremento sia frutto di una ritorsione politica (che neanche nella Chicago del vecchio Al). E’ distruttivo, invece, che nessuno faccia caso a cosa comporta una simile decisione governativa: la fine delle autorità indipendenti, la demolizione dell’Agcom (autorità per le comunicazioni). Che forse se lo merita pure, ma sarà il caso di concentrarsi sull’elefante entrato in cristalleria, non sulla scimmia sghignazzante che ha sul groppone e finge di guidarlo.
Partiamo dal conoscere, prima di giudicare e deliberare. L’autorità indipendente fu introdotta all’inizio degli anni novanta (con la legge Mammì, che, come tutti ripetono, contribuii a scrivere, ma dato che quanti dicono sono refrattari a studio e lettura, non sanno che i difetti li misi nero su bianco durante la discussione e subito dopo, perché le leggi si scrivono in Parlamento, dove si producono robe da ridere e da piangere). Fu una moda, quella delle autorità, che, anche grazie a Uolter Veltroni, furono da subito chiamate all’americana: Authority (che poi non è manco americano, perché colà al plurale fa: Authorities). A me sembrava che non potessero funzionare, in un sistema di diritto in cui esistono sedi di ricorso amministrativo. Così è stato. Ma ora siamo al salto (in basso) di qualità: è il governo a intervenire sulle decisioni dell’autorità indipendente, che così cessa di essere sia indipendente che autorità.
Nell’aprile del 2012, governante Mario Monti, con una maggioranza di governo che comprendeva le componenti politiche dell’attuale, un decreto legge stabilì che sarebbe stata l’Agcom a fissare criteri e quantificazione dei contributi annuali da versare per l’uso delle frequenze digitali. Nell’ottobre del 2014 (con calma), l’Agcom provvede. Nel decreto legge milleproroghe, il cui nome è un milleprogrammi, il governo Renzi incorpora quella decisione. Non pago di avere decretato d’urgenza, quindi dando vita a un atto che è già vigente e operativo, urgentemente, ma posticipatamente, decide di cambiarlo, presentando un emendamento che attribuisce al governo quella funzione. Tutti si mettono a strillare per le due ragioni sopra ricordate, ma nessuno vede lo scempio del diritto. Altro che semplificazioni e trasparenza dei testi, qui siamo all’azzeccagarbuglismo che genera un kamasutra legislativo, inducente contorsionismo regolamentare. C’è una sola cosa da farsi, per metterci una pezza: chiudere l’Agcom. Perché se non la chiudono resta evidente che è commissariata, il che, per una supposta indipendenza, è troppo.
Avvertendovi di ciò, vi metto sull’avviso di quel che si sta preparando e già praticando. Ricordate il vecchio mercato delle frequenze? Un suk inverecondo, che la legge Mammì stoppava, introducendo, dopo anni, la pianificazione e le concessioni. Peccato che provvidero a disapplicarla, dando poi le concessioni senza le frequenze, sicché il suk raggiunse ritmi e quotazioni stellari. E’ finito per estinzione, giacché si è passati al digitale. Bene. Peccato che ora si sia aperto il suk Lcn: vale a dire, per capirsi, della posizione di ciascuna emittente sul telecomando. Teoricamente non dovrebbe esistere, perché ad ogni autorizzazione corrisponde una collocazione. Ma praticamente è già attivo e fiorente, con soggetti che si fanno pagare milioni null’altro che il riflesso del valore di un atto amministrativo e governativo. In un Paese mezzo serio tutto questo verrebbe stroncato sul nascere, salvo il fatto che nessuno se ne occupa. Né il governo né la (non) autorità (non) indipendente.
Quando qualcuno, fra qualche tempo o anno, ve lo racconterà come uno scandalo, sapete dove indirizzarlo.
Pubblicato da Libero