Politica

Italia diversa

L’Italia che ha preso il gusto di compiangersi e disprezzarsi ne ha ben donde, in questi giorni. C’è anche un’altra Italia, di cui si può essere orgogliosi, che non si piega alla retorica del piagnisteo: quella dei nostri militari impegnati all’estero, quella delle organizzazioni umanitarie che ne affiancano e accompagnano il lavoro.

Dei primi si parla più in occasione degli eventi luttuosi che per il lavoro che svolgono. E quando capita che ci siano dei caduti il riflesso collettivo consiste nel chiedersi: perché sono morti? Incorporando le seguenti possibili risposte: a. per nulla; b. per interessi altrui; c. per interessi inconfessabili. Più di una volta è sgradevolmente capitato che a mostrare orgoglio per quelle vite perse siano più i congiunti delle vittime che non la comunità nazionale. Invece quelle missioni non solo sono giuste, non solo portano l’uso della forza in luoghi in cui è messa in forse la vita dei civili e della civiltà (come in Afghanistan e Iraq, come nei Balcani), ma è grazie a quelle missioni che ancora abbiamo un peso internazionale. Perderlo sarebbe un danno enorme.

Dei secondi, delle organizzazioni umanitarie, si parla più che altro per trovare qualche para-guru del pacifismo. Quando la scena ha bisogno di qualcuno che vada a dire cose di sconvolgente banalità (del tipo: la guerra è sempre sbagliata) e che lo faccia buttando sui teleschermi il peso dell’esperienza diretta. Della serie: sa quel che dice. In realtà, per la più parte, si tratta di soggetti che materialmente non sanno quel che dicono, tanto, a esempio, da esaltarsi nel dire che non va toccata la Costituzione (che ripudia la guerra), giacché nata dalla Resistenza. Vale a dire da una guerra. Guerra giusta, benedetta. E sudicia, quanto solo le guerre civili sanno essere.

Ieri s’è visto un pezzo del nostro valore. Un pezzo dell’Italia migliore: da Trieste è partita una nave di aiuti umanitari, diretti in Siria. A Udine, @uxilia (sia perdonato il vezzo della “a” internettiana) ha presentato un filmato per raccontare il lavoro svolto in Sri Lanka, sui bambini soldato e su quel che resta delle loro famiglie. Una realtà nella quale non solo non vorresti capitare, ma neanche vorresti vedere. Qui @uxilia, guidata da un medico friulano, Massimiliano Fanni Canelles, ha portato il soccorso sanitario, ma anche l’aiuto per l’educazione e un progetto di microcredito, per suggerire a quei figli della dannazione che non c’è solo l’armarsi per il distruggere, ma anche il darsi da fare per creare.

Son sempre tutti pronti a parlare dei centri verso cui vengono indirizzati gli immigrati clandestini, criticandone la mancanza di confort e cancellando il fatto che si tratta di persone che hanno pensato di vivere in Italia cominciando con l’infrangerne la legge. Ma nessuno sembra disposto a raccontare dei centri di accoglienza dove vengono portati bambini e persone provenienti da molto lontano, con ancora fresche le ferite, fisiche e morali (uno si trova a Udine). L’Italia nel ruolo della cattiva è assai gettonata, dai media, mentre quella che mostra una faccia opposta non attizza curiosità, non ci si fa belli nel raccontarla. Anche questa, a ben vedere, è una delle forme che prende la naturale avversione della mediocrità contro il merito.

Qualcuno considererà blasfemo accostare il lavoro di una onlus umanitaria a quello dei militari, come fossero rimedi e soccorsi uno l’opposto dell’altro. Invece no, perché questi due strumenti sono stati e sono uno a fianco dell’altro, uno utile all’altro, in diversi scenari di disperazione e violenza. Gli italiani in divisa e gli italiani in camice fanno cose eccellenti, e le fanno a braccetto (uno dei presidenti regionali di @uxilia è in divisa ed è da poco rientrato a casa).

Può darsi che queste osservazioni siano fuori tema, rispetto al dibattito pubblico di queste ore. Ma preferisco credere che sia quel dibattito a essere fuori tema, rispetto al peso e al valore che l’Italia meriterebbe.

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