Politica

La Bce e Palazzo Koch

La partita rilevante non è stata e non è personale, ma istituzionale. In ambito sia nazionale che europeo. Il modo in cui è commentata la nomina di Ignazio Visco, indicato dal presidente del Consiglio quale nuovo governatore della Banca d’Italia, m’induce a ritenere che molti non capiscano e alcuni facciano finta, ma la questione ha un peso superiore alla sola poltrona di Palazzo Koch.

Fermiamoci inizialmente a quella: scegliere fra Vittorio Grilli e Fabrizio Saccomanni sarebbe stato legittimo, ma si doveva farlo prima, mentre scegliere Lorenzo Bini Smaghi sarebbe stato un imperdonabile errore. Giovedì quasi tutti annunciavano la preferenza di Silvio Berlusconi per quest’ultimo, quindi per l’errore, criticandolo. Venerdì non si trova il riconoscimento del merito, per non esserci caduto. Palazzo Chigi e il Quirinale funzionano, oramai, come nuora e suocera: se le cose vanno male è colpa della prima, se vanno bene è merito della seconda. Eppure, sotto sotto, a Berlusconi non è dispiaciuto vedersi attribuire Bini Smaghi, potendo spendere questa sua (inesistente) preferenza con Nicolas Sarkozy, quale sforzo per liberare un posto nel board della Bce.

Ci torno, ma prima una parola sulle tante dette a vanvera. Si sostiene: con la nomina di un governatore interno è salva l’autonomia della Banca d’Italia. E lo dicono in tanti. Ma guardate che Mario Draghi mica viene dall’interno di via Nazionale, mentre da fuori quel palazzo arrivava Guido Carli. Per non dire di Luigi Einaudi. Ma si possono dire cretinerie cubiche con l’aria saccente di chi pronuncia verità? Secondo gli odierni dichiaranti uno come Carli sarebbe stato una minaccia per l’indipendenza. Ma andiamo oltre: indipendenza su che? Oramai le materie che restano in mano alla banca centrale, dopo la creazione di quella europea, sono relative alla vigilanza e all’antitrust, per giunta in compartecipazione con altre autorità. Certo, c’è il ruolo importante svolto nella Banca centrale europea, dove i governatori nazionali votano su questioni rilevanti, come il tasso d’interesse, ma sottolineare la necessità che il successore di Draghi dovesse essere in sintonia con lui è esattamente come dire che l’autonomia consiste nel fare quel che dirà un altro. E tutto questo non nasce dalla caratura delle persone, che è ottima, ma da questioni istituzionali, che pur si dovranno affrontare.

Poi c’è il versante europeo: non avendo ottenuto quel che chiedeva, Bini Smaghi può restare al suo posto e non dimettersi, così sollevando le ire dei francesi. E’ vero, può farlo, ma con chi se la devono prendere, i francesi? Non con noi italiani. Se la devono prendere, prima di tutto, con l’imperdonabile ipocrisia di avere redatto uno statuto della Bce nel quale si fa finta di non sapere che ci sono rappresentanti nazionali e, quindi, si dotano d’inamovibilità dei presunti apolidi. Il reclamare un rappresentante francese, nel momento in cui quel Paese perde la presidenza, è politicamente ovvio, ma statutariamente illegittimo. Non solo: nel caso di Bini Smaghi, complice il suo colpevole temporeggiare, le pressioni per le dimissioni sono oramai note, pubbliche e propagandate, con il che va a farsi benedire l’autonomia della banca. Se la prendano, poi, anche con il presidente uscente, loro connazionale, cui non è dispiaciuto arrecare qualche danno all’inquilino dell’Eliseo. Tutto il mondo è paese, e fra i propri paesani ce ne sono di dispettosi.

Questi sono i due versanti istituzionali che mostrano preoccupanti crepe. Non si può ignorarle, perché non si tratta di trastulli per addetti ai lavori, ma la matrice che poi genera la divaricazione degli spread. Sono i punti di debolezza politica che rischiano di costarci un occhio della testa e di sbriciolare l’euro. Quindi: tanto piacere per i nominati, ma quella è faccenda di secondaria importanza.

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