C’è della ferocia, nel buonismo sugli immigrati. Accogliere tutti quelli che vogliono entrare in Italia, per fermarsi o transitare, è un’opzione impossibile. Neanche da prendere in considerazione. Per questo le parole di Nunzio Galatino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, sono pericolose. Alimentano l’illusione che regge lo sfruttamento dei disperati.
La tesi di Galatino è che chiunque si metta su un barcone è, per ciò stesso, in diritto d’avere asilo. Immagino la gioia dei trafficanti, ma è un’affermazione priva di logica e diritto. L’asilo e la protezione è un dovere nei confronti dei profughi, naturalmente nei limiti del possibile. L’accoglienza degli emigranti, invece, è un’opportunità, che va governata. Se lo si fa bene si produce convenienza, per chi accoglie e per chi arriva. Ove se ne perda il controllo si producono disastri e degenerazioni razziste. Per distinguere occorre esaminare i singoli casi. Per farlo è necessario avere uno spazio giuridico che lo consenta. Per questo, da anni, andiamo ripetendo che va fatto in zone extraterritoriali, a cura dell’Unione europea (e non di un singolo Paese), sotto quella giurisdizione. Esaminare, del resto, comporta l’assentire e il respingere. Come si fa anche al portone del Vaticano.
Che il disagio economico sia sufficiente a creare un diritto a essere accolti non è solo privo di fondamento, ma un fondamentale errore. Perché condanna le zone di provenienza a eterna povertà. Si deve aiutarli colà dove si trovano? Certo, se possibile. Aiutare lo sviluppo significa creare le condizioni per la crescita della ricchezza. Il che comporta far funzionare il mercato. La carità è pelosa, quando si parla di masse di persone, intere aree del mondo e diverse culture. La convenienza è assai più onesta. C’è un punto, però, che i cultori dell’aiuto in loco puntualmente scantonano: che si fa se guerre e faide rendono impossibile l’aiuto, o lo trasformano in potere nella mani di soggetti riprovevoli? Si lascia che rimedino gli interessati o si interviene dall’esterno? Perché la seconda cosa ridischiude le porte al colonialismo, che per altro verso non ci si stanca di condannare. Come se tutte le colpe del mondo fossero solo nostre e senza di noi regnerebbe l’eden.
Noi italiani abbiamo un problema in più: siamo la frontiera europea esterna più esposta, dopo che quella greca è stata protetta dai turchi. La fregola dei muri è per noi una fregatura, tappandoci fra mare e muro. E più sono permeabili le porte esterne più si chiuderanno quelle interne. Il rimedio consiste nel chiamare gli europei dell’interno a presidiare con noi il solo confine reale, quello esterno. Senza egoismi e piccinerie. Né nostre né altrui.
Pubblicato da Libero