Politica

La gabbia

Sia l’ipotesi che ci si sia arricchiti, o si sia favorito l’arricchimento di familiari e amici, mediante la svendita di beni donati al proprio partito ed evadendo il fisco, sia l’ipotesi che si siano utilizzati i servizi di sicurezza nazionale per regolare faccende personali e partitiche, sono congetture d’enorme gravità politica. Al punto che, ove si dimostri che l’una, l’altra o entrambi siano vere i responsabili non dovrebbero avere altra strada che le dimissioni. Invece capita che i contendenti pretendano di darsi appuntamento per votare assieme una legge che impedisca alla giustizia di processarli, tutti e due, prima che scada il loro mandato. Abbiano la cortesia, i signori della maggioranza, di prendere atto che si tratta di uno spettacolo osceno.

Il punto non è estetico, ma politico: a. se lo “scudo” dovesse essere rinviato al giorno del mai, per paura di contarsi, si condannerebbe la legislatura a vivere di fughe e d’incursioni giudiziarie; b. se lo si approvasse con il voto della maggioranza originaria, quella al cui interno ci si scambiano accuse d’indegnità politica e morale, sarebbe il segno della decomposizione mentale; c. se passasse con una maggioranza diversa suonerebbe lo squillo del “liberi tutti”, aprendo la strada a coalizioni di governo che non hanno nulla a che vedere con quel gli italiani votarono. L’incoscienza e l’insipienza generali considerano questo scenario, a lungo annunciato e previsto, meno nocivo delle elezioni anticipate. Segno che abbiamo modi diversi di misurare i guai. Segno che si vuol dare un contributo alla concimazione dei movimenti ribellistici e antipolitici, oltre che un motivo in più perché cittadini per bene e ben pensanti smettano di andare a votare.

Lo sconforto non nasce dalla mera osservazione di quel che capita, ma dall’impressione che sia immutabile. A desta come a sinistra ci s’impegna, con ardore e passione, a spiegare che quelli con i quali si è stati eletti, quelli con cui ci si è alleati e ritrovati nelle stesse liste, sono la feccia dell’umanità. Per carità, ci sono anche delle pezze d’appoggio, ma dove credono che porti, una simile condotta? Quando si sarà dimostrato che Gianfranco Fini è un profittatore bugiardo non sarà pur sempre l’alleato con cui Silvio Berlusconi, dal 1994, ha costruito il centro destra? E quando sarà acclarato che Berlusconi corrompe il mondo per consumare le sue vendette non sarà pur sempre l’uomo cui Fini deve l’essere stato tratto fuori dal post-fascismo marciante e duceosannante, nonché l’alleato con cui ha pure fondato un partito? Quando Walter Veltroni e Massimo D’Alema avranno finito di darsi reciprocamente dell’incapace e del mestatore, non saranno sempre due pulcini cresciuti nello stesso pollaio (comunista), intenti a contendersi il ruolo di gallo? Dal centro dell’arena si solleva un gran polverone, frutto delle manate e dei calci che i litiganti si scambiano, ma sugli spalti il pubblico si dirada, mangia noccioline, flirta e pensa agli affari propri.

Tutto questo accade nel mentre un dato è quasi dimenticato: la gran parte degli elettori e la gran parte degli eletti sono dei riformisti moderati. Fra gli elettori è diffuso il morbo della tifoseria, incrudelito da quindici anni di antiberlusconismo forsennato e incancrenito dal giustizialismo. Fra gli eletti è diffusa la viltà e il servilismo, l’accucciarsi ai piedi di chi potrà offrire nuovamente un posto in lista. Ma quando li tiri fuori dallo stadio e dalle anticamere, elettori ed eletti si mostrano in gran parte consapevoli che il gioco al massacro otterrà un solo risultato: il massacro. Ciò cui si deve richiamarli non è un insipido “volemose bene”, ma un ragionevole “non facciamoci del male”.

L’Italia è, per storia e per cultura, un mosaico d’identità, campanili, interessi e clientele. Ci divertiamo a dire che con secoli di pace gli svizzeri hanno inventato l’orologio a cucù, mentre noi abbiamo fatto il Rinascimento con i comuni che s’alleavano a qualche straniero pur di scannare il vicino. E’ vero, ma non basta scannarsi per dirsi rinascimentali. Le risse attuali, che sono le stesse del governo precedente, e di quello prima, come di quello avanti, determinano un non governo che rischia di trascinare dal mosaico al pulviscolo. Dopo di che sarà complicato riagguantare la polvere.

Non si può chiedere agli elettori di liberarsi dalla gabbia che radicalizza il loro voto, perché non ne hanno gli strumenti, salvo la diserzione. Si deve chiederlo agli eletti, come anche a noi osservatori. C’è un metodo e una sostanza riformista, un approccio moderato e una volontà modernizzatrice sui quali costruire una politica non genuflessa ai miserabili interessi corporativi e non schiava di faziosità sempre più simili all’ignavia dell’antinferno dantesco, ove s’era costretti a seguire un’insegna priva d’iscrizione. Sulla rottura della gabbia si misura la consistenza di una classe dirigente e il suo diritto a sopravvivere.

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