Quella del presidente notaio o garante è un’illusione che attraversa tutta quanta la storia del Colle, senza mai essersi incarnata. In compenso c’è più di un precedente di presidenti scelti per giocare un ruolo e finiti a svolgerne uno diverso, se non opposto. Tale osservazione non è affatto scolastica, ma d’immediata valenza. Per rendersene conto basta leggere le parole dell’ambasciatore americano, John Phillips: non solo occorre una persona influente e indipendente, capace di prendere anche posizioni sgradite al governo, ma tale scelta sarà un test per valutare la stoffa di Matteo Renzi. Piuttosto chiaro.
Al prossimo giro c’è una novità: se tutto va bene, se le promesse riforme dovessero farsi, il non ancora eletto dovrà dimettersi. Non si tratta di eleggere un presidente a tempo, ma, a sentir quello che dicono e ridicono i capi politici, nazareni o nazaerranti, è la Costituzione del 1948 ad avere i giorni (si fa per dire) contati. E quando l’uomo del Colle si ritroverà senza più neanche il collegio che lo elesse, ove nel frattempo non abbia supposto d’essere il solo centro del mondo italiano, non gli resterà che accompagnare l’Italia al voto e presentare le dimissioni.
Il ruolo del presidente, così come descritto dalla Costituzione, è politico, non arbitrale (“politico” non è, o non dovrebbe essere, sinonimo di “fazioso” o “intrigante”). Purtroppo lo si delineò in modo così elastico che si è esteso enormemente, fino a supplire non solo alle mancanze del potere legislativo e alle debolezze di quello esecutivo, ma anche alla indeterminatezza dei risultati elettorali. Da qui una descrizione monarchica che difetta per moderazione: il re, nello Statuto albertino, non aveva i poteri che i nostri più recenti presidenti hanno esercitato.
E’ vero che il presidente “è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale” (articolo 87 della Costituzione), ma questo non significa che possa essere talmente privo di fisionomia personale da aderire al tutto assemblato. Quando cade un governo, finisce una legislatura o il Parlamento diviene incapace di funzionare, i poteri presidenziali sono schiettamente politici. Fu così fin dal primo presidente (Luigi Einaudi), che rivendicò con forza il potere di scegliere i ministri. Il successore (Giovanni Gronchi) pensò addirittura di potere sviluppare una politica estera per i fatti suoi. Ergo: chi parla di notai e garanti non sa quel che dice, né dal punto di vista costituzionale, né da quello storico.
Anche quando il presidente è stato espressione diretta della maggioranza di governo non per questo ha perso autonomia politica: quel governo sarebbe poi caduto e ogni legame di filiazione annullato. Di converso, i presidenti eletti dalle più larghe maggioranze, oltre i confini di quella governativa, si sono rivelati i più caparbi nel far valere le proprie posizioni, anche contro gli interessi dei governi poi succedutisi. Non è sensato, pertanto, coltivare illusioni.
La sola cosa che distingue il prossimo presidente dai suoi predecessori, accomunandolo al Napolitano del secondo mandato, è che sarà eletto da forze che hanno promesso di cambiare profondamente la Costituzione. Talché, come detto, presto non dovrebbe più esistere il collegio elettorale che s’accinge a riunirsi e scegliere l’inquilino del Quirinale. Già abbiamo un Parlamento senza più la legge elettorale che lo elesse, ci manca anche un presidente in condizione analoga. Tutti figli di nessuno? Una scena singolare. Il problema si sarebbe posto anche con Napolitano, ove le riforme si fossero fatte. Ma, come è noto, sono di là da venire, mentre il presidente è andato via prima.
Se giungeranno in porto ci troveremo in un sistema che resta bicamerale, ma in cui si vota per una sola Camera. Cambierebbe anche la legge elettorale. Tutto questo innescherà, se si farà, una collana di problemi interpretativi, dovendo dare vita a prassi necessariamente inedite. Siccome non è pensabile che tutto sia lasciato ai figli di nessuno, la prima cosa che, in quel momento, il nuovo presidente dovrà fare è restituire lo scettro al sovrano, gli elettori. Una volta insediato il nuovo Parlamento e dato vita al primo governo della nuova era, sarà lui, però, a dovere andare via. Visto che lo si deve ancora eleggere, sarà bene chiarirlo prima, anche per orientare la scelta dei grandi elettori. Tanto, a dispetto della melassa retorica e conformista che si sparge copiosa, fuoriuscendo da carta e televisione, gli interessi e i conflitti non s’inteneriscono per le chiacchiere. E quella del garante notaio è solo una chiacchiera, che nasconde un istinto suicida: un bel signore, meglio signora, nessuno.
Davide Giacalone
@DavideGiac
Pubblicato da Libero