Crepo d’invidia per la Francia ed i francesi. Sì, talora sono insopportabili, dotati d’impareggiabile spocchia, la menano da sapientoni e da elegantoni, hanno eletto presidente quello Chirac (grazie ad suicidio della sinistra ed al ballottaggio che lo vide contrapposto ad un fascista) che li rappresenta in modo decalcomanico, ma, alla faccia, in quanto a laicità possono davvero dare lezioni.
Dopo avere dato l’incarico ad una commissione, presieduta da Bernard Stasi, di studiare la situazione, il presidente della Repubblica si è presentato in televisione ed ha detto, nella sostanza: i francesi riconoscono piena libertà di culto religioso, ma non intendono, con questo, divenire il variopinto assemblaggio di religioni e sette diverse, quindi, cari miei, credete a quel che vi pare, pregate come vi pare, e se non lo fate sono pur sempre affari vostri, ma di simboli religiosi portati come bandiere non se ne parla: via i veli, via gli zucchetti, via i crocefissi: siamo e restiamo francesi, alla nostra identità laica non rinunciamo. Eccellente.
A non sapere essere laici, a non sapere, quindi, essere casa di tutti, con uno stato non multiconfessionale, ma aconfessionale, sapete che cosa succede? Succede che si attacca il crocefisso ovunque, tanto nessuno ci fa più caso ed è considerato un elemento del panorama, poi arriva il cretino esibizionista di turno e chiede di toglierlo, o lo scaraventa fuori dalla finestra, ritenendosi offeso alla vista del “cadaverino”. A questo punto si apre un terribile bivio: lo togliamo dando ragione al cretino esibizionista; oppure lo teniamo perché fa parte della nostra identità? Bene, a quel signore proprio non intendo dare ragione, ma il crocefisso non fa parte della mia identità (o, meglio, ne è parte, assieme a tante altre cose e simboli che potrei riempirci un paio di pareti). La civile via d’uscita è quella francese. E, una volta tanto, sarebbe bene accettare la lezione.