Politica

La Lega e il Colle

Per Silvio Berlusconi la Lega non è solo un imprescindibile alleato di governo. In Umberto Bossi riconosce l’unico leader politico che ha costruito il successo sulla base dei risultati elettorali, con un’origine esterna al mondo politico professionale, continuatore ed erede della prima Repubblica. Le loro storie sono diverse, per molti aspetti opposte, ma nessuno dei due è il continuatore della tradizione legata ad una delle famiglie culturali e politiche preesistenti alla Repubblica stessa. Ambedue sono dei fondatori. Inoltre, dopo il tradimento leghista che affondò il primo governo di centro destra, nato dall’inaspettata vittoria elettorale del 1994, dopo quei mesi di polemica durissima, con accuse, da parte di Bossi, pesanti e personali, la ritrovata alleanza si basa su comuni convenienze politiche, oltre che su un non trascurabile rapporto umano, cementato dalle difficoltà, diverse, dell’uno e dell’altro.

Proprio per il ragionamento che svolgevamo qui ieri, relativo alle riforme istituzionali, se si potrà mettere mano ad una profonda e necessaria riforma della giustizia, che serva anche a disinnescare le minacce direttamente incombenti sul presidente del Consiglio, questo lo si dovrà alla lealtà della Lega. Un ruolo rafforzato, oltre tutto, dall’evidente bisogno che altri hanno di distinguersi, diversificarsi, offrirsi alle lusinghe dei diversi poteri istituzionali, mirando all’occupazione dello spazio politico che si presume si libererà, quando Berlusconi non sarà più un protagonista della politica. Un calcolo sbagliato, come abbiamo più volte argomentato, perché quel giorno nulla sarà somigliante a quel che vediamo, ma ciò non di meno un calcolo esistente.

Non sono, però, solo rose e fiori, che, comunque, anche in quel caso non mancherebbero le spine. L’intervista di Roberto Maroni al Corriere della Sera, subito dopo le regionali, è un atto politico forte, nel merito condivisibile. Mentre il resto del centro destra tace o festeggia, la Lega dimostra di star già ragionando sul futuro. Il gesto di Roberto Calderoli, che porta un abbozzo di riforme istituzionali al Presidente della Repubblica, non è affatto banale, perché proprio l’inutilità e irritualità del gesto, per niente mitigato dal quirinalizio comunicato mirante ad informare che non si è entrati nel merito, mette in evidenza la sua schietta politicità: con una serie di gesti, qui già esaminati, il colle più alto s’è intestato la rappresentanza dell’opposizione possibile, e la Lega è corsa a legittimare tale ruolo, riconoscendone l’importanza e chiedendo il dialogo.

Tutto questo non può non allertare, sia il resto del centro destra che quella parte dell’opposizione che non ritiene di doversi sterilizzare in un eterno e meccanico rifiuto, ma neanche si rassegna a dar spazio politico alla forza che più efficacemente penetra nel loro elettorato. Massimo D’Alema, in vena di blandizie e alleanze, andò al congresso leghista, per definirli “costola della sinistra”. Forse non immaginava di disegnare più il problema che l’opportunità. L’allerta, però, sarà del tutto sterile se penserà di tradursi nel tentativo di “fermare” le iniziative politiche in corso. La Lega punta ad intestarsi il processo riformatore delle istituzioni, e non è detto che lo faccia perché anela ad una nuova Repubblica, di sicuro lo fa per accreditarsi quale forza nazionale. E la cosa morde la destra, dove gli altri sono fermi, imbambolati, ma morde anche la sinistra, perché una forza che fu territoriale si va espandendo, mentre loro che furono nazionali si vanno restringendo nel ridotto appenninico.

Non si contenderà lo spazio politico della Lega chiedendole di temporeggiare o fermarsi, ma, al contrario, superandola in dinamismo e volontà riformatrice. Le istituzioni della prima Repubblica sono stracche. Quel che sopravvive ha perso anima, e quanti difendono l’attuale assetto lo fanno più pensando al passato che al futuro. Non regge. Si deve fare l’esatto contrario: se si vuole preservare quel che è ancora valido del patto costituente, si deve mettere mano alla riscrittura della Carta, oramai decrepita in molte sue parti. In ciò consiste la sfida dei prossimi mesi. Non coglierla o fallirla servirà solo a cancellare quel che resta del vecchio mondo politico.

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