Nessuno la vuole veramente, tutti sono tenuti a dire di volerla fortemente, ciascuno ne immagina un tipo inaccettabile per gli altri. E’ la riforma elettorale. La nuova legge è un po’ come la sora Camilla: tutti la vogliono e nessuno se la piglia. La vecchia legge, suina, invece, è un po’ come la graziosa di via del Campo, cantata da Fabrizio De Andrè: la si condanna in pubblico e in privato se ne brama la virtù. Consistente nel fatto che capetti di partito e di correnti nominano i parlamentari.
Alla nascita del governo Letta la dottrina strombazzata era l’opposto di quella ora flautata. Si diceva: in diciotto mesi faremo le riforme costituzionali, coadiuvati da appositi 42 saggi, chiuso quel capitolo si farà una legge elettorale (che è ordinaria) coerente con la nuova architettura istituzionale. Vedemmo tutti quel che significava: scordatevi di votare a breve. Troppa rigidità, però, nuoce alla stabilità e favorisce i crolli improvvisi. E siccome i terremoti non sono mancati e non mancheranno, né si può supporre che il soffice tandem democristiano che guida il governo possa a lungo far passare le scosse per salutari massaggi, ecco che già si manifestò una novità: nell’ordine dei lavori parlamentari si convenne che la legge elettorale avrebbe avuto la precedenza.
Il concetto è scivoloso, però. Se si vuole veramente evitare che le elezioni siano non convocabili per mancanza di legge allora si dovrebbe farla subito. Al massimo entro la metà settembre. Cosa possibile, a volerla. Ma chi la vuole? Ecco, allora, che Enrico Letta dice: facciamola entro la fine di ottobre. Che oltre a essere parente di novembre, quindi anche di vigilia natalizia, significa quel che significava l’originaria teoria: scordatevi di votare.
Quale legge, poi? Per fare in fretta ci sono due strade: a. resuscitare il sistema precedente (che non portò governabilità); b. correggere l’esistente, mettendo una soglia minima per l’ingresso in Parlamento, nonché per far scattare il premio di maggioranza, inoltre unificando la legge per il Senato (come era nel progetto iniziale, poi cambiato per imposizione quirinalizia, che coglieva l’eco delle proteste a sinistra).
Si scelga, se si fa seriamente. Altrimenti si discuta, sicché Camilla resterà zitella.
Pubblicato da Il Tempo