Politica

La marcia di Assisi

Gli articoli di Arturo Diaconale e Carlo Panella, così come quello di Marco Pannella e gli ottimi appunti di Francesco Pullia, tornano sulla manifestazione pacifista di Perugia, sollevando problemi politici che è bene approfondire.

Alla marcia da Perugia ad Assisi sono stati dedicati molti, troppi articoli e molti, troppi chilometri di pellicola. In tanto dispendio d’informazione il signor Capitini Aldo, ideatore di quella marcia, rimane uno sconosciuto a quanti (pochissimi) non lo conoscessero già prima. Per ottenere questo risultato si sono mescolate le due caratteristiche più pertinaci del giornalismo italiano: la sua faziosità e la sua crostosa ignoranza.

La marcia è divenuta una scampagnata per antiamericani e fraticelli giulivi. Quaranta anni fa marciava Ernesto Rossi. Certo, un giornalismo che non fosse fazioso avrebbe potuto trovare nella parallela manifestazione radicale gli spunti per un commento appena più informato, appena meno conformista. Ma neanche a parlarne. Pannella passa il muro del silenzio solo se chiamato ad interpretar se stesso, in modo da poter poi dire che non se può più di questo Pannella sempre uguale a se stesso.

Passi per il giornalismo ignorante e conformista, che quelle son disgrazie nelle quali si rimane prigionieri, ma perché il giornalismo fazioso ha trovato conveniente suonar quello spartito? Perché è incapace, come la politica italiana, di vivere le vicende internazionali se non nella chiave angusta delle polemicuzze nostrane. Si fa leva sui sentimenti più retrivi e primordiali di un italianismo che spinge le sue radici ben oltre il fascismo, per ombreggiarne con il fogliame gli attacchi ad una sinistra che sceglie la civiltà, l’occidente, la libertà. Inutile far finta di non vedere: le tante cretinate dette sul pacifismo hanno come fine l’attaccar quella sinistra che tenta di affrancarsi dal suo stesso passato.

Ora, naturalmente, si possono rimproverare a quella sinistra ritardi gravi ed ancor più gravi errori, ma non si può certo tacere innanzi a questo sforzo continuo di farla tornare ad essere peggiore di se stessa. Chi può pensare che i marciatori, o, meglio, coloro i quali si erano autoposti alla loro testa, avessero come ragionevole scopo quello di condizionare la politica estera italiana o, men che meno, la risposta dell’occidente all’attacco terrorista? No, il loro scopo era assai più immediato e misero: porre sotto accusa una parte della sinistra in modo da potere essere la guida della sinistra. E poco importa il fatto che con quel tipo di guida il governo del paese se lo scordano per i prossimi mille anni, poco importa perché l’essere sinistra di governo è da questi vissuto come una sorta di declassamento nella scala della purezza. Il loro mondo ideale è quello in cui esistono le Oriane, che danno degli straccioni ai mussulmani, e la sinistra dei puri, che afferma la necessità di combattere il terrorismo senza la guerra, ma dando ragione alle richieste che lo animano ed armano. Chissà se si rendono conto del fatto che, ragionando in questo modo, sono più vicini a Bin Laden che a Karl Marx.

Massimo D’Alema ha notato che nel corso della marcia non ha sentito un solo slogan contro il terrorismo. Può darsi fosse assordato dai fischi. Non vi era neanche un solo striscione, una sola parola a ricordare le migliaia di morti dell’11 settembre. Il che dimostra che sfilava una follia non conscia di se stessa.

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