La riforma della scuola è stata approvata, ma non c’è. Detestando il pregiudizio e il partito preso, non ho opinioni da esprimere su quel che non esiste. Nel testo, che ieri è divenuto legge, c’è la metà delle cose che erano state annunciate e quel che riguarda la scuola e gli studenti è così marginale che si sarebbe potuto ottenere le stesse cose con delle circolari, senza scomodare il Parlamento. Il cui intervento è stato necessario, invece, per dare corpo alla vera sostanza del provvedimento: l’assunzione, a partire dal prossimo settembre, di 100.701 vecchi insegnanti, quella di 2000 idonei al concorso del 2012, e la promessa di prenderne altri 60mila, con un concorso da bandirsi entro la fine dell’anno. Non è una riforma. E’ un’infornata di dipendenti pubblici.
Che, per carità, potrebbero essere anche utili e giustificare la spesa, se solo s’accompagnassero a qualche possibile novità didattica. Ma non è così. Per dirne una: la riforma vorrebbe più insegnamento di lingue, musica e arte. Presentatemi uno solo che possa essere contrario. Solo che gli insegnanti saranno quelli di prima, perché la carica dei 101mila è costituita da quanti già insegnavano, ma con contratti a tempo (nel vocabolario della lamentazione li chiamano “precari”). Come fanno le stesse persone a insegnare di più e meglio cose diverse? Divennero anglofoni per conto proprio? Frequentarono il conservatorio o l’accademia? Riusciranno a diventare omniscienti grazie ai 500 euro cadauno, che riceveranno per andare al teatro? La risposta è no, quindi la promessa è mendace in partenza. Mentre s’allarga la Repubblica dei bonus, utilissima a consolidare il malus del satanismo fiscale.
52mila li assumeranno subito, perché tanti sono i posti vuoti. Gli altri con più calma, perché non si sa dove metterli. Oculata amministrazione, come si vede. Ma, almeno, si chiuderà la piaga apertasi con la condanna inflittaci dalla Corte di giustizia? Neanche quello, perché ci hanno condannati giacché prolunghiamo i contratti temporanei oltre i 36 mesi, e continueremo a farlo, perché senza quei lavoratori (complessivamente circa 600mila) la scuola non funziona. Perché è vero che abbiamo più inseganti, per alunno, della media europea, ma sono distribuiti così male che se c’è un vuoto da qualche parte si deve chiamare gli esterni. Riaprendo in continuazione la piaga.
Diceva Matteo Renzi: promuoveremo il merito. Applausi. Chi valuta? Un comitato composto da 3 colleghi, 1 genitore e 1 studente, o 2 genitori e nessuno studente fino alla media inferiore. Per il soviet scolastico: fischi. E pernacchie. Agli insegnanti migliori saranno dati premi, presi da un fondo di 200 milioni. Ma, benedetti figlioli, se quello è il modo di valutarli, come fate a sapere chi sono i migliori? Ragionando di riforma della pubblica amministrazione avete ipotizzato di valutare in modo diverso le lauree, perché non tutte le università sono uguali (ed è vero, tanto che si vorrebbe sapere dove avete studiato, visto che non si può fare se non cancellando l’archeologico e anacronistico valore legale del titolo di studio), quindi ci possono essere laureati con lode che non compitano in italiano, e altri con voti minori che sono dei fenomeni. Bene, ora volete assegnare i premi sulla base del giudizio dei soviet con mamme?
Il solo modo di valutare la qualità scolastica, quindi anche la capacità dei singoli insegnanti, consiste nel valutare, nel tempo, gli studenti, quindi il frutto del lavoro che si svolge a scuola. Ma gli studenti se li sono dimenticati, nella riforma, mentre la misurazione del merito resta affidata all’indice camarilla. Assai pittoresco, ma non adottabile fuori dal pansindacalismo e dalla sconfitta con dileggio di ogni pretesa riformatrice.
Dicono: ci mettiamo i soldi. Non siete i primi, siete gli ultimi. I soldi “messi” faranno la fine di quelli che mettemmo e mettiamo: spesa pubblica corrente senza controllo di risultato. Menano vanto di quel che dovrebbe far arrossire. In compenso si dimostra, nel maxiemendamento governativo (a proposito, ma non era una pratica deprecabile e da cancellare?), uno spiccato senso dell’umorismo, laddove si annuncia un “bando” per la digitalizzazione. Un bando che presuppone una (larga) banda. Che non c’è. Diciamo che si perse il bandolo della matassa.
La cosa orrida non è tanto la riforma, che non c’è, sicché non può essere nulla, ma il fatto che un pezzo della sinistra la voleva più spendacciona, mentre la destra non ha osato sollevare il tema della spesa a capocchia. Tengono tutti elettorato. Ma in fuga, non so se ci hanno fatto caso.
C’è qualità, nella scuola italiana, ci sono tanti insegnanti bravi e diligenti. La riforma li ignora e sbeffeggia. C’è lassismo e menefreghismo, nella scuola italiana, concepita quale stipendificio. La riforma li rassicura e conforta. Perché non riforma ma inforna. Perché conferma lo stampo corporativo di chi pensa agli ospedali avendo in mente non i malati, ma i medici e paramedici, ai tribunali non per i cittadini, ma per magistrati e avvocati, e alla scuola non per gli studenti, ma per chi vi presta servizio. E anche questo servizio è reso.
Pubblicato da Libero