Politica

La sinistra e la pace

Le manifestazioni per la pace, di sabato scorso, lasciano alle loro spalle un buon risultato. E non mi riferisco all’imponente partecipazione. Sono servite, qui come altrove nel mondo, per toccare con mano il rischio di un’uscita dal terreno politico. Che, in definitiva, è una fuga dalla realtà.

Già l’idea che si possa essere contro la guerra, e per “la pace senza se e senza ma”, si autoiscrive al mondo dell’irreale. Non si tratta di paragonare Saddam ad Hitler, è sufficiente comprendere che la vita reale è fatta prevalentemente di “se” e di “ma”. Si può giudicare sbagliata l’idea di scatenare, in determinate condizioni, un attacco militare contro il regime iracheno, ma non si può in nessun caso dire che il non uso delle armi, in questo caso come in ogni altro, sia un valore da difendere ad ogni costo. La pace è una speranza, non può essere una precondizione, a meno che non sia la pace dei sensi.
Il fatto positivo, quel che di buono le manifestazioni ci lasciano, è che la sinistra italiana sembra essersene accorta. E’ positivo che un uomo come Enrico Boselli rifiuti, e lo dica, un pacifismo che suoni antiamericanismo. E’ positivo che Walter Veltroni senta la necessità, e lo dica, di non ricevere Aziz, dopo che questo ha dato pubblico sfogo, in un sol colpo, al suo razzismo ed al suo dispregio della libertà. E’ positivo che Francesco Rutelli consideri Strada, e lo dica, al pari della Fallaci: rappresentanti d’opposti preconcetti, o, se si preferisce, fanatismi. Solo per citare alcuni esempi.
Le piazze erano gremite, in Italia e nel mondo, e questo sembra aver saggiamente suggerito non solo l’entusiasmo del consenso, ma anche il rischio di far prendere ai sentimenti (variabili, molto variabili) la guida della politica. Assecondare quelle piazze rischia di azzerare la politica, che, invece, ha il dovere di dare risposte concrete, anche intrise di mondani interessi, al manifestarsi degli stati d’animo.
Il pacifismo di stampo religioso corre meno rischi, perché porta nel proprio corredo genetico il richiamo a valori ultraterreni, e nella propria storia l’uso realisticamente spietato delle armi e della guerra; è il pacifismo di sinistra quello più esposto al pericolo, perché la terrena ricerca della giustizia e della libertà non può essere fatta con la placida noncuranza dei benestanti, ed il più che giusto rinnegare la violenza (un tempo levatrice della storia) non può essere l’alibi per rassegnarsi alla realtà data.
Dato che, anche sulle questioni di politica estera, si sono segnalati molti, e gravi errori della sinistra italiana, mi pare utile incoraggiare chi non ha ancora consegnato la politica ai sondaggisti, né ritiene utile accreditare l’idea che il presidente del Consiglio sia l’unico che tira dritto per la sua strada, infischiandosene dei sondaggi.

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