Politica

La stella di David

La stella di David è un simbolo di libertà. Questo vale per il contesto nel quale lo Stato d’Israele nacque, ma vale non meno per la realtà che ha dovuto affrontare, per la sua storia e per il suo presente.

Purtroppo capita che tanto sulla realtà di questo paese, quanto sulla vicenda complessiva del medio oriente e, specificamente, del popolo palestinese, vi sia una larga diffusione di luoghi comuni e disinformazione. Dimitri Buffa, quindi, ha perfettamente ragione a sottolineare (L’Opinione di ieri) la necessità che su questo tema si soffermi l’attenzione di chi ha a cuore le sorti della democrazia e della libertà.

Il pregiudizio antisemita è stato messo fuori giuoco dalla storia e dalle atrocità che, in Europa, gli ebrei hanno dovuto subire. Ma questo non significa che sia stato eliminato quel senso di differenza e di estraneità, che ancora accompagna la valutazione delle vicende israeliane. Quante volte, difatti, c’è capitato di dovere far ragionare chi sosteneva che, in fondo, lo Stato d’Israele era sorto su un territorio che era di altri? O che le capacità militari israeliane avevano finito con il prevalere definitivamente sulle forze dei confinanti? Che i palestinesi attaccano con la fionda e gli israeliani rispondono con i missili? E così via andando da uno sproposito all’altro.

E non è forse un pregiudizio antisemita quello che ha portato molti giovani (magari nella gran parte inconsapevoli ed ignoranti, semplicemente seguaci di chi quel pregiudizio coltivava) ad indossare, a mo’ di sciarpa, quella stoffa bianca con disegni neri che si trova sulla testa di Arafat? Forse pochi di quei ragazzi sanno che i palestinesi hanno fino a poco tempo fa semplicemente negato il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele, così come avrebbe fatto Hitler, i cui baffetti avrebbero giudicato orribile farsi crescere. Forse pochi di loro sapevano di indossare il simbolo di un gruppo terroristico che aveva mietuto vittime anche sul territorio italiano, che si era fatto e si fa scudo di bambini per potere mostrare al mondo la ferocia degli ebrei. Quell’ignoranza non è un’attenuante, è una colpa. Ma si tratta di una colpa che ricade anche su chi non ha informato, o ha disinformato.

Detto questo, ho talmente tanto rispetto per la democrazia israeliana da non comprendere perché si debba considerare offensivo o tendenzioso il tentativo di discutere anche gli errori d’Israele, che, naturalmente, non mancano. Così come non mancano gli errori degli ebrei della diaspora. Comprendo poco la levata di scudi contro le parole di Barbara Spinelli, laddove mi sembra chiaro che quelle parole, condivisibili o meno, possono comunque essere rivolte solo ad un popolo dialogante e governato da una democrazia. Sono un riconoscimento di valore, difficilmente attribuibile agli antagonisti.

Se Buffa e Diaconale intendono organizzare una pubblica riflessione su questi temi, hanno tutte le ragioni del mondo. Bravi. Sento, invece, meno la necessità di manifastazioni e piazzate, ove si contanto le chiappe più che le teste, ove si fronteggiano gli slogan e non i ragionamenti, ove vince la propaganda e non l’informazione. Chiamiamo chi è in grado di farlo, comunque la pensi, a misurarsi con la stella di David, e, poi, facciamone un quaderno de l’Opinione. Sì, lo so, il libro è uno strumento antico. Ma chi s’informa sui libri riesce solitamente meglio di chi lo fa sui maxischermi.

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