Politica

La storia e le storie

Imbrogliare e mentire sulla storia nazionale è un antico vizio italiano. Piuttosto che fare i conti con la realtà dei fatti si è ripetutamente preferito travisarli. Prima che José Luis Rodriguez Zapatero, ex capo del governo spagnolo, venga in Italia a raccontarci quel che ci siamo già detti, quindi, vale la pena rimettere in funzione la bussola della storia. Possibilmente senza usare i magneti delle tifoserie per truccarla.

La sorte dei governi italiani, quindi la nostra stessa sovranità, è stata determinata da influenze o decisioni prese al di là dei nostri confini? Si può rispondere oscillando da un irragionevole “no”, a un ecumenico “sì, ma è normarle che sia così”, fino a un estremo “sì, fu un colpo di Stato”. Esercizio inutile. Il nostro dovere è prima di tutto sapere, poi capire. Anche per leggere meglio quel che accadde dopo.

Senza andare alla notte dei tempi, come pure sarebbe utile, l’Italia, e per essa il suo governo, nella seconda metà del primo decennio del secolo appena iniziato, è finita due volte nel mirino di interessi a noi contrapposti. La prima è la più istruttiva e dice molto della seconda: il gas russo. Un pezzo dei governi europei e quello statunitense non hanno mai digerito il rapporto con i russi, per la fornitura di gas. Più in generale il rapporto con il governo di Vladimir Putin. Troppo lungo approfondirne qui i passaggi, sta di fatto che i più esposti eravamo noi e i tedeschi. Con una enorme differenza: quando Gerhard Schroder, pochi mesi dopo avere perso la cancelleria, prende la guida di Nord Stream AG (il gasdotto che passa nel Baltico e salta paesi come Polonia e Ucraina), designato dai russi di Gazprom, si accendono polemiche in varie parti del mondo occidentale, talune ardendo per lo scandalo, ma l’argomento non viene utilizzato come arma di polemica politica interna tedesca. Anzi: Angela Merkel inaugurerà l’opera. Da noi accadde l’esatto contrario. Ci torno, prima, però, è bene ricordare un dettaglio: coincide con quel periodo la pubblicazione della prima foto di Silvio Berlusconi con sulle ginocchia una squinzia, ritratti nella casa di Sardegna. Va da sé che se un capo del governo può essere fotografato, può anche essere accoppato. O, meglio, può essere accoppato fotografandolo.

Nel 2011, passaggio cui si riferisce Zapatero (ma anche Tim Geithner, segretario Usa al tesoro, narrante di funzionari europei che proposero agli americani di eliminare il governo Berlusconi), molte cose precipitano. Veniamo trascinati (marzo) in una dissennata guerra di Libia, voluta da francesi e inglesi. Il governo italiano recalcitrava, anche perché eravamo gli unici a rimetterci, ma la pressione esterna si amplifica all’interno, a cominciare dal Quirinale, temendo (timore reale, del resto) l’isolamento dell’Italia. Poi si scatena la speculazione contro i debiti sovrani (estate). E qui, scusate, ma Zapatero non ci può rivelare altro che succosi particolari, perché la sostanza noi la scrivemmo durante, non dopo: la polemica degli spread, intesi come indici di inaffidabilità governativa, era da trogloditi, o da imbroglioni. Lo documentammo e i fatti confermarono. Ma mentre si usava quell’artiglieria per colpire il governo, è arrivata la bomba.

Tale fu la costituzione del fondo salva stati (luglio). Cosa giusta, salvo che francesi e tedeschi vollero e ottennero che ciascuno partecipasse in percentuale del proprio pil, mentre gli italiani chiesero e non ottennero che si partecipasse in ragione dell’esposizione delle proprie banche con il debito greco. Era chiaro che la prima formula ci avrebbe portato a pagare per salvare le banche francesi e tedesche. Cose che scrivevamo allora, non poi. E non basta, perché oltre a pagare per gli altri non dovevamo neanche supporre di usare per noi stessi quel fondo, come invece fecero gli spagnoli, perché eravamo e siamo troppo grossi. Era ragionevole, quindi, che altri volessero fiaccare la forza del governo italiano. Ma non sarebbe stato possibile se in Italia non vi fosse stato un berniniano schieramento di quinte colonne. Così nacque il governo Monti (novembre).

Ciò va ricordato per evitare di supporre che la partita fosse d’antipatia personale, o di supposta impresentabilità. Per questo va anche ricordato che il governo in carica (Berlusconi) era già gravemente crepato, sia da divisioni interne, sia da scissioni favorite dal Colle, che dal ministro dell’economia disponibile a sostituire il capo del governo. Va ricordato che il centro destra ha votato a favore di tutti i passaggi governativi successivi (salvo poi dissociarsi). Producendosi poi la situazione odierna, con una coalizione di governo che nessuno ha mai votato (spaccato il centro destra e destituito Bersani). E va anche ricordato che se le serate gaudenti non furono la causa di quella crisi, ben altrimenti ricca d’interessi, furono comunque lo strumento utilizzabile. Quindi una colpa.

Pubblicato da Libero

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