La verifica, o quella roba un po’ caciarona cui si assiste, non sfocerà nella crisi. C’è il semestre di presidenza dell’UE e, comunque, in mancanza d’elezioni anticipate, non ci sono soluzioni alternative.
Il vincolo europeo cade dal primo gennaio, ma, a quel punto, incombono le elezioni europee. O la maggioranza si suicida, affermando l’impossibilità di andare avanti e chiedendo le elezioni politiche; o, assai più probabilmente, si serrano i ranghi e ci si misura in una tornata proporzionale.
In questo clima, favorevole alla fioritura d’imboscate parlamentari e straparlamenti di vario genere, è difficile immaginare che possano giungere in porto riforme significative. Ma facciamo finta di crederci, e facciamo finta di credere che si farà la riforma del sistema elettorale, in senso proporzionale, accompagnandola con l’elezione diretta del capo del governo. Sarebbe questa, una soluzione? Ne dubito.
Intanto, a scanso d’equivoci, si sappia che il proporzionale di cui oggi si parla non serve a dare rappresentanza autonoma alle forze politiche di minore consistenza elettorale, ma, all’opposto, per togliere ai “partiti corsari”, come li chiama Marcello Pera, il potere di ricatto. In altre parole: il neoproporzionale serve a rendere più forti i grandi e non più presenti i piccoli. Se le forze di democrazia laica e socialista avessero ancora intelligenza politica da spendere, ne trarrebbero qualche interessante conclusione.
Ma il punto più dolente è quello dell’elezione diretta del premier. Le elezioni dirette servono, nei sistemi che se lo possono permettere, quelli dove non ci sono forti presenze antisistemiche, a porre un singolo nella condizione di governare, sopravvivendo, nel caso, anche ad una diversa maggioranza nelle assemblee legislative. E’ il caso del presidente statunitense, come di quello francese (dove, però, governa un altro). Non è il caso inglese, così come non è quello tedesco. Da noi cosa succederebbe se, come oggi, un presidente elettoralmente forte avesse a che fare con una maggioranza che si sfarina? O cambia la maggioranza, o tenta di governare senza, o porta il paese alle elezioni.
Nel primo caso era più elastico e saggio il sistema che ha accompagnato cinquanta anni di democrazia italiana, prevedendo anche che possa cambiare il presidente. Nel secondo si camminerebbe sul confine del colpo di Stato. Nel terzo si riprodurrebbe esattamente la situazione che stiamo vivendo.
Tutto questo per dire che le riforme istituzionali ed elettorali sono utili ed importanti, a patto che siano l’espressione di una linea politica, il frutto della soluzione dei problemi che avevano indebolito gli equilibri preesistenti. Al contrario, se si guarda alle riforme per risolvere quel che la politica non riesce ad affrontare, si fanno solo pasticci, e si generano sistemi posticci.