Politica

Laici e tabernacoli

Le formazioni politiche figlie della tradizione democratica, laica, riformista hanno praticamente chiuso i battenti, cessato di avere una propria forza d’influenza sulla vita parlamentare e governativa.

Certo, quelle formazioni hanno dovuto subire un attacco giudiziario che ne ha fatto crollare le strutture, che ne ha mortificato la natura ed i valori e che, dopo anni, ancora attende di essere letto con gli occhi della ragione anziché con quelli dell’odio. Ma pensare che tutto questo sia potuto succedere solo perché la mano d’altri ha colpito, pensare che sarebbe potuto succedere se quel mondo avesse avuto classe dirigente e idee all’altezza della situazione è sciocco, e niente affatto consolatorio.

Il pensiero politico laico non deve riprendersi dall’essere stato ridotto o soppresso per mani altrui, non deve fare i conti con un male esterno che ne ha ridotto od eliminato la capacità d’azione. Al contrario: deve partire dalla consapevolezza delle proprie debolezze, dalla presa d’atto che la sconfitta è stata figlia d’incapacità, d’insufficienza. Tentare di mascherare gli errori di ieri con una sorta di pretesa superiorità sull’oggi è patetico, prima ancora che inutile.

Ancora dieci anni fa più di un quarto dell’elettorato italiano si riconosceva in partiti laici, i quali si erano trovati, per gran parte della storia repubblicana, a collaborare nei medesimi governi. Oggi constatiamo che il venire meno dei vincoli posti dalla guerra fredda non ha fatto venire meno il ruolo egemonico di quello che fu il partito comunista italiano, e che oggi ha altro nome ma medesimi uomini e dirigenti. La tramontata unità del partito dei cattolici ha lasciato spazio a formazioni diverse, che si sono mostrate decisive nel portare alla vittoria elettorale il centro sinistra, e che conservano un’influenza importante nel centro destra. In quest’ultimo hanno trovato spazio gli eredi di una destra che fu attraversata da forti venature antidemocratiche, e che oggi vive una stagione nuova, decisamente più apprezzata dagli elettori. Sono sorte formazioni politiche nuove, come la Lega, che hanno portato in maggioranze di governo, diverse e contrapposte, l’irrisolvibile contraddizione antisistemica. Di laici, invece, se ne possono indicare diversi, anche di grande prestigio ed in collocazioni non secondarie, ma tutti solo e soltanto a titolo personale. Le formazioni politiche laiche si solo liquefatte.

Se questo o quel laico hanno pure potuto ritrovarsi da una parte o dall’altra, di certo si è dovuto pagare il carissimo prezzo di vedere scomparire il peso politico delle formazioni laiche. Come se non bastasse i laici che stanno da una parte rimproverano l’incoerenza morale (morale prima che politica, questa è la tragedia) dei laici che stanno dall’altra (c’è chi convive con il nemico ideologico di appena ieri, chi con i prodotti dell’antipolitica), ma nessuno può seriamente affermare che, nel luogo ove si trova, significativa sia l’influenza di una cultura, quella laica, che ha meriti impareggiabili nella storia della democrazia e della Repubblica italiana.

In queste condizioni la prima cosa da farsi è tentare di ridare forza al tessuto della cultura democratica, rinnovandone le idee e consolidandone i valori. La “Nota aggiuntiva” presentata da Ugo La Malfa fu un documento di grande valore politico e morale: oggi si può commemorarla, non adottarne i contenuti. Il convegno riminese dei socialisti, guidati da Bettino Craxi, seppe guardare con realismo e saggezza alla società italiana, ignorandone le mitologie, e seppe adottare un linguaggio nuovo, capace di parlare al paese forte, vivo, dinamico: oggi si può ripetere lo sforzo, ma non usare quelle stesse parole. La stessa strategia referendaria, adottata dai radicali di Marco Pannella (fortunatamente ancora combattivo), ebbe un valore, negli anni della solidarietà nazionale e delle larghe maggioranze, che oggi non è ripetibile.

Ciascuna di queste famiglie, ed altre ancora, coltivava specificità che la rendevano diversa dalle altre del mondo laico. Oggi è quella diversità organizzativa a non avere senso, perché uno dei più grandi valori che da quel mondo abbiamo ereditato è proprio la diversità di opinioni che si articola all’interno di una comune visione della politica e della cosa pubblica. Si deve ripartire da qui, a meno che non si voglia fare di ciascuna icona un piccolo tabernacolo, concentrando l’attività nell’accendere lumini. Nulla di meno laico è concepibile.

E’ un vecchio adagio: prendete due laici, metteteli a discutere, ed avrete tre partiti politici. Piace ai fedeli delle parrochie politiche, piaceva da morire ai militi dell’esercito comunista. Ciò non toglie che vi era e vi è qualche cosa di vero. Un mondo in cui ciascuno reclama e difende la propria libertà di pensiero, la propria diversità, è certamente un mondo migliore di quello in cui l’intruppamento politico oscilla fra la tifoseria di tipo calcistico ed il fanatismo di marca religiosa. Quel mondo, però, resta migliore ma sterile se ciascuno si ritrova ad essere solo, incapace di conciliare le proprie ragioni con qualsiasi forma di appartenenza.

Ai laici che, per strano contrappasso, si ritengono veramente tali solo se chiusi in un eremitaggio monastico e conservativo, intendiamo proporre la forza di un ragionamento politico, il desiderio di non pagare con l’assenza la voglia di preservare la propria identità.

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