Politica

L’antimafia dell’annacamento

Osservando Antonino Ingroia o Leoluca Orlando Cascio ti viene in mente un verbo siciliano: annacare. Già di suo è il ritratto del problema, perché annacare può significare muovere (annaca ‘u scieccu) e cullare (annaca ‘u picciriddu); può significare sbrigarsi (annacati, ca è tardu), ma anche l’opposto, perdere tempo (m’annacai tutta a sirata, ca facia cauro). Con quel verbo si può anche descrivere il dondolio le popò muliebre (talia comu s’annaca). Ecco, quei due sono l’incarnazione dell’antimafia dell’annacamento, ciascuno potendo dare al verbo il significato che più gli aggrada.

Dice Antonino Ingroia che Lucia Borsellino non avrebbe dovuto fare l’assessore di Rosario Crocetta. Lo dice avendo ottenuto, dal medesimo Crocetta, un posto di sottogoverno regionale, secondo la più luminosa tradizione clientelare e partitocratica, spartitoria e comparesca, talché ai trombati elettorali si trova sempre un giaciglio ove ritemprar le membra. Naturalmente a carico del contribuente. Ed eccolo, il nostro fenomeno giudiziario, l’autoaccreditatosi erede di chi mai e poi mai avrebbe tentato di tesaurizzare in voti la notorietà assunta in toga, passato per un tentativo di rivoluzione rivoluzionato dagli elettori, che lo lasciarono in beata solitudine, eccolo, il mancato eroe guatemalteco, la cui partenza fu divisa dal ritorno dalla sola durata dei due viaggi (naturalmente a spese del contribuente), eccolo a capo di una società regionale impegnata nella digitalizzazione dell’Isola che rimase analogica. Sia nel significato del codice binario, mancato e morto, sia in quello occulto e retrostante. Nel senso che sta dietro.

Un preclaro esempio, anche, se, come l’annacamento, non si sa se per i giovani cui sconsigliare la specializzazione informatica, che nulla ha a che spartire con le nomine pubbliche in materia, o per suggerire un’opzione a quelli che intendono indossare la toga, seguendo una vocazione non necessariamente parallela al diritto. Dice Ingroia che la figlia di Borsellino avrebbe dovuto immaginare la possibile strumentalizzazione del cognome. E in questo convengo con lui, accodandomi buon ultimo a uno che se n’intende assai, di quella materia.

Innanzi a tale prodigio dell’annacare, con sì raffinata pertinacia nel comparire e nell’esibire, l’Orlando Cascio dev’essersi sentito mancare. Talia come s’annaca, avrà pensato, ma senza alcun cedimento brancatiano, semmai preso da ipercinetismo lampedusiano. Sicché ha elaborato il puntuto concetto: “l’antimafia di facciata ha distrutto la politica”. Che, anche questo, è sopraffino esempio di competenza ed esperienza, offerto con noncuranza a un mondo che non sa apprezzarlo. Ma è modesto, il Cascio Orlando, perché non si limitò a distruggere la dignità e la serietà della politica, avendo effetti devastanti anche sulla giustizia. Non ne potremo chiedere conto ad Antonino Lombardo, carabiniere onesto che, dopo un suo attacco frontale e televisivo, già minacciato dalla mafia, ritenne opportuno suicidarsi. Né potremo chiederlo a Giovanni Falcone, che il nostro antimafioso dell’annacamento accusò di tenere rimpiattate le carte processuali, in questo modo favorendo la mafia. Non si sminuisca, il sindaco della città dove se altri prendono i voti come e quanti li prende lui, nessuno poi li salva dal sospetto d’essersi appoggiati a qualche cosca. L’ex democristiano che ricorda con orgoglio la battaglia contro Vito Ciancimino, tendendo a dimenticare chi ce lo mise, Ciancimino, laddove oggi egli si trova.

E solo un verbo a testata multipla può aiutare i continentali ad accostare i due, visto che Ingroia poi ne creò un altro, di Ciancimino, il figliolo Massimo, che con l’esplosivo in giardino e i soldi di papà nascosti, entrò suo tramite nell’opera dei pupi antimafia. Mentre il pubblico catodico si smarriva e non distingueva più il cavaliere dal marrano, l’Orlando dal furioso, trovando comunque curioso che i cognomi siano sempre gli stessi.

Dunque ha torto Orlando Cascio nell’accusare Crocetta e Beppe Lumia (Pd, già presidente della commissione antimafia, che, forse, sarebbe il caso di chiudere per sempre, non perché si sia estinta la mafia, ma perché s’è stinta la commissione)? Ha torto Ingroia ad avvertire sui rischi di strumentalizzazione? Ha torto Crocetta a sentirsi preda di una caccia di frodo? E così via? No, non hanno torto. L’annacarsi generale ha però assassinato la politica non meno della giustizia, con sicari che agiscono in entrambe le aree. Ciò porta un caos vantaggioso per la disonorata società degli uomini del disonore, mentre mette in scena un altro concetto siculo: si nun tinci mascaria. Si parte per dipingere e colorare, si giunge a imbrattare e confondere. Mi fermo con un pensiero di Leonardo Sciascia, che oggi è vero nel clima meteorologico e civile: la linea della palma s’è spinta molto oltre, verso nord, consegnando alla Sicilia un ruolo di metafora generale. La Sicilia dei morti viventi ha agguantato l’Italia. Soli restano i siciliani vivi, morenti.

Pubblicato da Libero

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