Politica

L’Avvenire degli studenti

Il giornale dei vescovi italiani, L’Avvenire, storce la bocca dopo la conferenza stampa del ministro dell’Istruzione, lasciando intendere che ci sia un dissenso profondo delle gerarchie, rispetto alla politica del governo. Fatta tara del fatto che l’articolo in questione, scritto da Davide Rondoni, non brilla per chiarezza d’idee e limpidezza del messaggio, da quelle autorevoli pagine non giunge la benché minima indicazione su cosa, invece, sarebbe opportuno fare. Una smorfia fine a se stessa, insomma.

C’è di buono che si ritiene siano gli interessi degli studenti quelli che debbano essere privilegiati. Sottoscrivo. Il che, però, esclude si possa fare diversamente da quanto annunciato dal ministro sul fronte dei “precari”. L’interesse dei ragazzi, che vanno a scuola per ricevere un’istruzione e non per occupare il tempo, che meritano un’istruzione selettiva, talché i migliori vadano avanti e i somari vadano altrove, in modo che la società sia mobile e i posti migliori siano occupati dai più bravi, e non dai più socialmente protetti, l’interesse dei ragazzi, dicevo, è quello di avere un corpo docente preparato e che si trovi in cattedra perché lo desidera, non perché non ha trovato di meglio. Posto che, già oggi, le ore d’insegnamento, in Italia, sono nella media europea, posto che in quella media si trova anche il rapporto fra docenti e discenti, ma rammentato che la collocazione dei nostri studenti è, in quanto a preparazione, in fondo alle classifiche, ne deriva che o sono deficienti loro o è deficiente il sistema nel quale si trovano a studiare. Propendo per la seconda ipotesi. Ragion per cui non mi piace il fatto che ancora si cincischi, rinunciando a imporre sistemi di valutazione che selezionino i docenti, ma, di certo, mi piacerebbe ancora meno l’ennesimo arruolamento ope legis, che risponde agli interessi di chi cerca un lavoro e non di chi cerca di studiare.

Se i vescovi, e il loro quotidiano, hanno un’opinione diversa provino, intanto, a fare quel che possono. Potrebbero, ad esempio, prendere i precari nelle scuole cattoliche. Potrebbero, inoltre, dedicare all’interesse di tutti lo stesso impegno che dedicarono al far entrare in ruolo insegnanti non scelti dallo Stato, ma da loro: quelli di religione.

Nel frattempo, però, evitino di fare da cassa di risonanza a pensieri come questo: “la signora ministro ha affrontato con gagliarda e dunque controversa volontà riformatrice sia l’Università che la scuola”. Per tre ragioni: a. quel “signora ministro” sa di sessismo; b. quel “dunque” è sintomo di precaria padronanza della lingua; c. per affrontare la riforma di settori così importanti occorrerebbe una determinazione assai più gagliarda. Ed evitino anche di precettare i giovani per ipotetici “plotoni d’esecuzione”, sebbene armati con giocattoli, perché quando si hanno le idee confuse e si scherza con il fuoco si fa poi fatica a fissare il confine fra il ruzzare e il ruzzolare.

Con ogni probabilità, almeno questa è la speranza, si tratta solo di parole mal assemblate, che rientrano a pieno titolo nel novero di quelle “speculazioni” contro le quali pretendono di scagliarsi. Ma c’è un punto, decisivo, sul quale non possiamo permetterci fraintendimenti: io credo che, per cambiare scuola e Università, si stia facendo troppo poco, se, invece, qualcuno pensa che si stia facendo troppo, e con troppa baldanza, abbia il coraggio di spiegare ai ragazzi che resteranno gli ultimi nella competizione, perché ai loro interessi si sono anteposti quelli sindacali, politici e polemici.

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