Il satanismo fiscale cavalca verso nuove frontiere: peccato non avere avuto il tempo di coprire la (illusoria) cancellazione dell’Imu sulla prima casa con un aumento delle tasse sul gioco d’azzardo. Lo sostiene il ministro Graziano Del Rio, ma adesso ci lavoriamo, dice, e le alziamo. Grandioso programma, ma a patto di dire, chiaro e tondo, che si tratta dell’ennesima tassa sui poveri. Così come si fa crescere l’imposizione sulla casa (alla faccia della cancellazione) per potere finanziare le detrazioni, quindi a fin di presunto bene, è con animo altrettanto votato alla bontà che si vuol tassare l’azzardo, in modo da salvare i ludopatici, ovvero i giocatori compulsivi. Nel qual intento non c’è un errore, ma due.
Cos’è il gioco d’azzardo? La chiamata a una scommessa il cui esito non dipende dall’abilità dello scommettitore, ma dalla fortuna. La seconda caratteristica dell’azzardo è che il banco ha probabilità di vittoria enormemente superiori a quelle del giocatore, il quale, però, ove vinca, incasserà una posta significativamente superiore alla giocata. Messa così, lo Stato ha poco da fare il moralista, visto che dei giochi d’azzardo ha il monopolio, di volta in volta affidandone la gestione a privati. Ed è ragionevole che sia così, perché le caratteristiche di questo mercato sono tali che ci vuole niente per farlo finire nelle mani della criminalità. Tenetelo a mente, perché fra poco ci torniamo.
Il monopolio serve a non perdere il controllo. Ma se una cosa la si considera in sé immorale, o rovinosa, va proibita, non monopolizzata. Non mi sembra il caso di molti giochi. Io stesso, talora, compro i biglietti di alcuni concorsi: non c’è niente di male, magari vinco (fin qui no, ma non poniamo limiti), intanto verso l’obolo allo Stato. Tutto su base volontaria, che, con i tempi che corrono, è già un godere. Se si aumentano le tasse per sconfiggere la maniacalità compulsiva si sta sbagliando indirizzo: perché quella è insensibile al prezzo, mentre a pagare saranno tutti gli altri. Quindi, doppio errore: si aumentano le tasse sulle speranze povere; si fa pagare di più alla socialità popolana dei Bingo (mai visto De Benedetti o Barilla che comprano le cartelle); e non si aiuta per nulla chi con il gioco si rovina, semmai accelerandone la fine. Lo definirei: moralismo tosatore.
Solo che, a furia di tosare, si stanno portando via la pecora a braciole. Occhio a quel che succede nel settore dei tabacchi, dove si sono persi 730 milioni di gettito fiscale. E, si badi bene, come chiarisce il presidente della Fit (Federazione italiana tabaccai), Giovanni Risso, è la prima volta che capita. Perché, fin qui, il calo dei consumi è stato compensato dall’aumento delle accise, sicché i tabaccai soffrivano, ma l’erario continuava a vedere crescere gli incassi. Fine: il crollo è stato così vistoso, nell’ultimo anno, che il gettito s’è contratto. Bene per la salute? Non ne sarei così sicuro, e qui si torna al lato criminale: quando il prelievo fiscale scava un canale troppo largo fra il valore di mercato e il prezzo praticato al pubblico, va a finire che il quel canale navigano i contrabbandieri. Difatti il contrabbando è in crescita. Lo Stato mamma, che pretende di prendersi cura delle anime, che vuole sostituirsi ai singoli nelle scelte private, non ha cuore di mettere fuori legge l’azzardo, anzi lo incentiva guadagnandoci, ma poi pretende di tartassarlo punitivamente. La verità è che mamma prende i soldi dei balocchi per spendacciare in profumi, e vuole anche essere ammirata perché così resta più tempo per lo studio.
Il settore delle accise segna un crollo del gettito pari a 1.7 miliardi. Eppure, ogni volta che c’è urgenza di far cassa non si sente dir altro che: aumentiamo le accise. Si può pure far finta che quanto qui scritto sia solo un inno al vizio e alla dissolutezza, ma, a parte che le lezioni arrivano da chi ha i due monopoli, le cose stanno diversamente: si vogliono aumentare quelle tasse perché si prova a coprire con il moralismo tosatore la disperazione fiscale di chi non riesce a far calare la spesa e vede calare le entrate. La pressione fiscale che insegue la spesa, anziché il sano contrario. Sì che ci s’acconcia a mettere tasse sui poveri, sui loro consumi e sui loro costumi, per giunta condannandoli per quanto lo Stato stesso gestisce e reclamizza.
Pubblicato da Libero