Politica

Le case e la politica

Il congresso del partito socialista, ritrovandosi nella leadership di Gianni De Michelis e Bobo Craxi, mantiene, nei fatti, salda la propria collocazione politica, non rinunciando al ragionare su un futuro che rompa la camicia di forza di un bipolarismo forzato. L’ipotesi di ritrovarsi, alle prossime elezioni politiche, da soli od in alleanza con altri laici, fuori dai poli, sostituendo i radicali nella testimonianza infruttuosa, non esiste. Esiste ancora meno, quindi è sotto lo zero, quella di traslocare nel polo di sinistra.

Gianni De Michelis si spende molto, nel tentativo di riannodare la storia della famiglia socialista, nello sforzo di ricreare la sede di una possibile unitarietà. Il suo lavoro mira ad un risultato impossibile, ma non è frutto di follia, bensì l’eco lontana di una violenza subita, di un sopruso inaccettabile, di una corruzione della storia. Capisco, quello sforzo, e mi piace, così come mi piacerebbe fosse coronato da successo anche per gli altri gruppi politici e culturali che furono schiantati dalla manomissione del sistema democratico. Ma non è così che andranno le cose.

Dire che il passato è passato, e non torna, è una banalità. Più significativo ricordare che il passato (recentissimo) italiano è stato occultato sotto una valanga di menzogne ed ipocrisie. Perché quel materiale sia rimaneggiato è necessario, prima di tutto, il coraggio della verità. Ed a questo coraggio si mostrano insufficienti quelle stesse forze (le nostre) che per mancanza di coraggio si lasciarono massacrare.

Le divisioni che si crearono allora, fra i liberali, fra i repubblicani, fra i socialisti ed anche fra i democristiani, hanno a che vedere con la legittimità del sistema politico e la regolarità del giuoco elettorale. Non è roba che si supera con una conferenza programmatica. Si supererà con il tempo, quando la parentesi della seconda Repubblica sarà chiusa. Ed è nel cammino da farsi che vedo un’opportunità e, al tempo stesso, una trappola mortale.

L’opportunità è legata alla capacità d’intessere un dialogo politico, di portare la riflessione sulle cose pur ammettendo la diversa collocazione negli schieramenti che oggi ci è dato vivere. Ragionare con Biondi o con Zanone è possibile; farlo con La Malfa o Maccanico anche; tentarlo con De Michelis o con Boselli pure. Così come si può ben ragionare con Rutelli o Pera. Insomma, questa pretesa seconda Repubblica non ha creato classe dirigente, non ha una sua personalità ed una sua dirittura morale, non ha un prima e non avrà un dopo. Lo spazio della politica, dunque, c’è, ed i fatti del mondo, quelli dell’economia, quelli delle istituzioni sono lì a reclamare un più alto quoziente di politica. Attenti a non commettere errori: l’antipolitica è il passato, ed è un passato pessimo.

Le opportunità ci sono, per chi, in questi anni bui, pur maturando scelte diverse, ha sempre voluto considerasi animale politico, ha sempre conservato un’idea condivisa della politica. Ma c’è anche la trappola. Finché ragioneremo solo fra liberali, fra repubblicani, fra socialisti, rivivremo all’infinito l’incubo degli errori passati e dei torti subiti. Ci divideremo in “veri” e “traditori”, parleremo di tradizione a destra od a sinistra, accuseremo i nostri più simili d’essersi venduti per un tozzo di pane e ci pisceremo sulle scarpe dimostrando che se siamo finiti una ragione c’era: almeno in parte, lo meritavamo.

Sfuggire alla trappola significa non accanirsi nell’impossibile tentativo di riportare tutti in una sola casa, così aprendo le porte alla speranza di riportare tutti a parlare di una sola cosa: la politica. Il dubbio è (ed i giorni successivi al congresso socialista depongono in tal senso) che le vecchie, gloriose bandiere portino con sé questa maledizione. Forse, per far sventolare gli ideali di sempre, quelli per i quali mai abbiamo smesso di batterci, occorre pensare a qualche cosa di nuovo.

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