Politica

Le Foibe

Grazie a Radio Radicale ho seguito l’interessante incontro, fra Luciano Violante e Gianfranco Fini, nel corso del quale si è discusso delle Foibe.

Tale dibattito, come i tanti che si accendono qua e la, miranti a rileggere questa o quella pagina di storia, mi ha lasciato l’amaro in bocca : non vorrei che, a furia di ammettere gli errori del passato, gli unici colpevoli siano coloro i quali non hanno crimini di cui pentirsi. E non basta, si ha anche la strana sensazione che la storia venga letta solo ed esclusivamente per “attualizzarne” il significato, con il risultato di perdere per sempre il significato.

La storia è complessa, come la vita. I comunisti jugoslavi gettarono nelle voragini carsiche, le foibe, i corpi di quanti si opponevano loro. Un crimine efferato, ed a lungo occultato da una storiografia asservita agli interessi politici della sinistra. Ma quei comunisti erano agli ordini del Maresciallo Tito, ed il Maresciallo rese unita la Jugoslavia. Non la rese il paradiso dei diritti civili e politici, certo, ma la rese cosa assai migliore di quella macelleria a cielo aperto che abbiamo sotto gli occhi. Inoltre, il Maresciallo comunista non era un allineato agli ordini di Mosca e, quindi, nel non scagliargli addosso la responsabilità delle Foibe la storiografia di sinistra ebbe un buon alleato in quanti puntavano sui non allineati per indebolire l’egemonia sovietica.

Con il paragrafetto che ho appena scritto non voglio certo descrivere una storia, neanche per sommi capi. Voglio solo dire che le cose non possono essere lette, a distanza di tanti anni, e solo per convenienze immediate, in uno stucchevole bianco e nero. Lo stesso Stalin non è solo l’uomo dei Gulag, è anche l’uomo al fianco del quale i civilissimi e democraticissimi Stati Uniti D’America sconfissero il nazifascismo (e noi italiani stavamo dall’altra parte). Constatare questa ovvietà (che è altrettanto reale del patto Molotov-Ribbentrop) non significa assolvere altre responsabilità, ma, solo, inquadrarle storicamente. Giuochicchiare con la storia ignorando, volutamente, la storia è un esercizio pericoloso che, fra le altre terribili cose, induce anche a commettere sempre gli stessi errori.

La storia non è un succedersi di crimini contro l’umanità, commessi allo scopo che i pronipoti possano pentirsene. La violenza, nella storia, non è sempre deprecabile, ed il pacifismo non è sempre ammirevole. Anzi, spesso capita che il pacifismo sia un errore. E qui siamo al punto : l’onorevole Violante, così come tutti coloro i quali hanno militato con onore nel partito comunista italiano, farebbero bene a riflettere criticamente non solo sui crimini dei loro nonni, ma anche sui loro errori politici (che coprirono i crimini), sul pacifismo sciocco e demagogico degli anni ottanta (ieri). Furono le democrazie non pacifiste, furono i leader politici italiani che non sfilarono per la pace a porre le premesse per il crollo del sistema imperialista e comunista, sotto la cui cappa erano stati commessi crimini troppo sbrigativamente dimenticati e troppo facilmente riconosciuti.

L’onorevole Fini, del resto, rifletta sul fatto che la sua rilettura critica sull’infamia dell’antisemitismo giunge in contemporanea con l’analoga riflessione della Chiesa Cattolica. E la Chiesa, nei secoli, non è stato un bell’esempio di tempestività. Non crede, l’onorevole Fini, che di queste cose avrebbe fatto assai meglio ad occuparsi quando ancora il suo partito si chiamava Movimento Sociale? O non si era accorto del problema? O non lo riteneva opportuno? e perché?

Se Violante avesse fatto sentire la sua voce all’epoca in cui (ieri) il suo partito sventolava con orgoglio i telegrammi di sostegno e solidarietà inviati da Breznev; se Fini avesse ripudiato le leggi razziali quando ancora nel suo partito si alzava il braccio teso per il saluto romano; allora questi sarebbero stati gesti di grande significato politico. Oggi appaiono un pochettino miserabili.

L’eterno cattolicesimo italiano, infine, porta ad attribuire un peso enorme ai presunti pentimenti. Porta, anche, ad una perniciosa separatezza fra le idee (che sarebbero sempre ispirate alle migliori intenzioni), e le azioni (che invece subiscono la corruzione della realtà, del mondo). Grazie a questa insana frattura si può ancora oggi intervistare Mario Moretti, e si può, senza coprirlo di insulti, fargli dire che l’analisi brigatista sul SIM (Sistema Internazionale delle Multinazionale) era solo in anticipo sui tempi.

Invece no, le azioni sono le idee. E le idee senza azioni sono solo onanismi. Di un’azione sbagliata si può pentirsi, certo, ma tale pentimento non vale una cicca se non coinvolge le idee che generarono l’azione. Fuori da questo vi è solo la meschinità di chi vuol scaricarsi dalle spalle il peso di qualche milione di morti ammazzati.

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