Politica

Le lezioni di Calearo

La candidatura di Massimo Calearo nel Partito Democratico insegna tre cose, rivelatrici della depressione politica che attraversiamo. Prima lezione: egli ha detto che Veltroni lo ha convinto ad entrare in lista promettendogli che sarà ministro nel prossimo governo della sinistra. Ci fu un tempo in cui cose del genere si tacevano e ci se ne vergognava, perché l’idea di schierarsi in ragione di un tornaconto personale era considerata meschina. Vedo che ora va di moda la trasparenza, che sarebbe meglio chiamare sfrontatezza. Lezione uno-bis: un politico è davvero in grado di promettere quello che non ha, non avrà e non darà.
Seconda lezione: questo o quello per me pari son. Il capo di Federmeccanica aveva avuto modo di criticare pesantemente la politica di una sinistra che, non a caso, aveva mandato due sindacalisti a presiedere le Camere. Il suo giudizio negativo è ricambiato dal mondo politico che si ritiene vicino, ed in molti casi è diretta espressione, dei lavoratori metalmeccanici. Calearo non ha fatto mistero di apprezzare molto la legge Biagi, che i suoi attuali compagni di lista volevano, tutti, dicasi tutti, cambiare. Pensa il peggio possibile di Visco, che i suoi cocandidati appoggiano da quando erano piccoli. Ha festeggiato la caduta del governo Prodi, con i cui ministri ora si ritrova a fianco. In tutto questo Calearo non vede alcuna increspatura, non scorge il problema della coerenza, giacché il ragionamento è del tutto diverso: l’importante è esserci, ed io ci sarò passando da questa parte. Mi avessero dato garanzie di potere entrare dall’altra, lo avrei valutato senza pregiudiziali. Dal che deriva: è un bene che cadano i muri ideologici, ma è un male che travolgano anche i confini ideali, e più banalmente le idee.
Terza lezione: il passato non conta e nessuno ne risponde, siamo tutti nati oggi, meglio ancora se domani. Se non fosse così Veltroni potrebbe candidare Calearo solo dopo avere detto che il governo Prodi è come la corazzata Potëmkin. A forza di vivere alla giornata, la politica italiana non ha né storia né memoria.
Riassumendo: si festeggia l’arrivo dei profittatori, si applaude il divorzio fra contenuti e schieramenti, si teorizza l’irresponsabilità per quel che si è fatto e detto. Ah, dimenticavo, tutto questo si chiama “rinnovamento”.

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