E’ andata a finire come previsto: tutti a parlare di Bertolaso, incapaci di capire che il problema sta nel meccanismo, che o precipita le opere pubbliche nel baratro di una regolarità formale propiziante lo sperpero, l’inadempimento e anche il mercanteggiamento sostanziale, oppure sollecita alla deroga, barattando operatività contro trasparenza. Il copione è da manicomio. Ci sono ispirati commentatori che si straziano sperando che all’uomo senza giacca possa ancora essere appesa la verginità collettiva, come se si potesse essere illibati per interposta persona. Ci sono politici che urlano, in falsa calma, il suggerimento delle dimissioni, che su di sé non praticherebbero manco morti, e altri che sussurano un grido di solidale gioia, visto il sopraggiungere di guai in capo ad altri. E c’è la ggente, che ha gioito dei linciaggi mediatici e ora, stanca del patibolo mediatico, si ritrova a parteggiare per l’accusato, giacché, e che diamine, qualcuno la spazzatura doveva pur portarla via e tirar su le case. Il quadro, nell’insieme, di un Paese smandrappato.
Dice Pier Luigi Bersani: al posto suo mi dimetterei. Già, ma al posto di se stesso candida non solo gente inquisita, ma anche direttamente rinviata a giudizio, con tutta la famiglia. E fa bene, intendiamoci, se non fosse che poi s’impantana nell’indecente arroganza della doppia morale. Fa bene, perché si è innocenti fino a eventuale condanna, salvo il fatto che poi partecipa alla condanna degli innocenti. Anche io, sia detto per inciso, al posto di Bertolaso mi sarei dimesso. Ma anche lui, tant’è che l’ha fatto. Se avesse impedito al governo di tenerlo al suo posto, però, avrebbe ceduto al più barbaro dei costumi, che porta le procure a scegliere chi governa e chi amministra, mediante l’uso dell’inquisizione. Le assoluzioni, si sa, come le condanne, arriveranno quando non serviranno più a niente.
I sondaggi indicano che il popolo è con Bertolaso. La loro lettura, però, dovrebbe chiarire in quale orrida baia siamo approdati, dove s’amministra giustizia con l’applausometro. Un tempo tutto a favore del boia, ora con qualche accondiscendenza anche verso le vittime. Ma non tutte, solo quelle che hanno buona immagine e buona stampa. Faccio un esempio, sicuro di disturbare la digestione di molti: se la giustizia fosse una cosa seria nessuno avrebbe mai dovuto leggere la trascrizione di una conversazione telefonica nel corso della quale si ride del terremoto. E’ un’infamia, un’istigazione al linciaggio, un modo per sollecitare il giudizio morale al posto di quello penale. Il reato non c’è, non in quelle parole, che non possono e non devono costituire aggravante. Quel pessimo esempio ci ammonisce tutti: da ora in poi sentitevi sempre spiati, passibili d’essere indicati quale iena ridens.
Quei due non hanno scampo, ma Bertolaso regge. Perché in quelle stesse carte e intercettazioni lo si è subito indicato colpevole di avere riscosso tangenti sotto forma di reiterati massaggi erotici, salvo il fatto che egli stesso è corso a dire che si trattava di fisioterapia. Bertolaso non è Paolo e Francesca non è la moglie fedifraga che si scioglie sul libro galeotto. E noi, che leggiamo, ci domandiamo: ma, prima di compitare pagine infamanti, il magistrato ha mandato un carabiniere a domandare se in quel luogo lavora una Tizia piuttosto richiesta, salvo conoscerla e accertarsi di qual è il suo mestiere? Non è difficile e costa poco, assai meno che intercettare.
Bertolaso regge, perché ha reagito con calma e con quel pizzico d’ipocrisia che lo porta a dire: ho fiducia nella magistratura. Regge perché ha quell’aria ad un passo dal: ma andate tutti a scopare il mare. Regge anche perché non è un politico. Ma egli non è l’unico protagonista di questa storia, anche se sugli altri i riflettori sono meno puntati. Quando dice: sono stato tradito, indica che il giocherello che usa lo stato d’emergenza per non dovere stare alle regole degli appalti pubblici non regge più. Non perché sia disonesto in sé, che, del resto, lo sono anche le gare d’appalto, opache perché complesse e complesse per essere opache, ma perché, a forza di farlo e rifarlo, c’è chi ha capito come sfruttarlo. In fondo, il problema è semplice: se si sceglie il capitalismo relazionale al posto di quello concorrenziale, se si punta sulla conoscenza anziché sulla trasparenza, se si valorizza la confluenza d’interessi anziché il sano conflitto, va sempre a finire nello stesso modo, con opere che costano troppo e ambienti che ingrassano esageratamente.
In un Paese serio si lascerebbe in pace Bertolaso, nei confronti del quale giungerebbe presto un verdetto. Di cui gioire, o da scontare. Mentre il legislatore, versione istituzionalmente nobile e funzionale de “la classe politica”, metterebbe mano alla riscrittura delle regole. Da noi, invece, si parla di Bertolaso, anche per non parlare di chi, fra gli altri, gli affari li ha gestiti con tutti i politici di passaggio. Resta da stabilirsi se al servizio dello Stato, o al proprio e l’altrui.