Politica

Le strane primarie

Le elezioni primarie sono state concepite per essere uno strumento di coinvolgimento e propaganda, sono divenute un rivelatore della confusione istituzionale. L’idea nacque a sinistra, prendendo spunto da un costume statunitense che s’imitava senza averlo né interiorizzato, né capito. Servirono per dare l’investitura a Romano Prodi, facendola sembrare una specie di scelta popolare, di designazione che, per la sua natura, vincolava i partiti della coalizione all’assoluta lealtà. Prodi fu accoltellato dai suoi.

Alle urne di una sola parte politica si ricorse anche per eleggere il segretario del Partito Democratico, Valter Veltroni, in modo da affrancarlo dalle pressioni delle correnti. Anche Veltroni è stato poi accoltellato, dalle citate correnti.

In vista delle prossime amministrative, Pier Luigi Bersani, attuale segretario di quel partito, ha enunciato uno strano principio: dove la destra ha già designato un candidato, non faremo le primarie, che celebreremo, invece, dove la gara è aperta. Non mi era facile comprendere la logica, ma sta di fatto che le hanno fatte a Venezia, dove il candidato avversario c’è ed è pesante (Renato Brunetta), e non le hanno fatte nel Lazio, dove, fino all’ultimo, la gara è stata aperta, nel centro destra.

Dato che la confusione regna sovrana, è il caso di fermare alcuni concetti. Le elezioni primarie sono un prodotto della democrazia, ma a patto che il voto dei cittadini pesi e sia determinante. L’esercizio utile non consiste nel ficcare delle schede nelle urne, ma nel farlo rispettando delle regole, godendo di garanzie, potendo fidarsi di un gioco leale. Altrimenti si chiama in modo diverso: presa in giro. Le primarie fin qui organizzate, anche quando hanno riguardato il centro destra, o erano un imbroglio, nel senso che era scontato il risultato, oppure una gara fra gruppi di pressione e cordate d’interessi (come quelle pugliesi della volta scorsa), a fronte delle quali i vecchi congressi di partito, dominati dai “signori delle tessere”, erano un esempio di trasparenza.

L’idea originaria, insomma, era buona, ma la pratica è stata pessima. Le regole servono, e devono essere rispettate, a cominciare dal fatto che deve essere chiaro: a. quando si fanno, senza lasciarle ai capricci delle dirigenze; b. chi ha diritto di candidarsi; e c. chi di votare. Una materia, questa, che dovrà essere affrontata quando si metterà mano alla legge elettorale, che tutti criticano ma che a tutti i capi partito, in fondo, sta bene. Il fai da te istituzionale, alla fine, è una barzelletta macabra.

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