Le leggi così dette “ad personam”, secondo un latinorum fastidiosamente bifolco, hanno in comune due coppie di caratteristiche. La prima si riferisce alla loro efficacia: sono fastidiose e inutili, costano politicamente e non rendono giudiziariamente. La seconda si riferisce alla loro sostanza: sarebbero giuste, se solo si fosse coerenti, andrebbero in una direzione opportuna, se non si svoltasse al primo angolo. Tirate le somme, quel tipo di leggi ottiene due grandiosi risultati: chiarisce che il difeso è colpevole e blocca ogni seria riforma della giustizia. Da ricovero. L’ultima è stata ritirata prima di nascere. In questi casi è meglio prendere precauzioni e non concepirle.
Su questioni come le rogatorie o la legittima suspicione rimando il (volenteroso) lettore ai tanti pezzi scritti su quei temi. Erano riforme giuste, ma furono varate tutte con la mente rivolta ad un singolo procedimento, per salvare un imputato (o i suoi avvocati), che alla fine andò in galera. Mettiamo da parte il passato, veniamo al codicillo detto “salva Mondadori”. Non avrebbe salvato un fico secco. Il vigente articolo 373 del codice di procedura civile prevede la provvisoria esecutività di una sentenza civile di secondo grado, ma stabilisce anche che il giudice può disporre diversamente, quindi sospenderla, ove ne possa derivare un “grave e irreparabile danno”. Il soggetto condannato, in questo caso, deve versare una congrua cauzione. Dunque: la sentenza civile di primo grado condanna Mondadori al pagamento di 750 milioni di eruo. Occorre non un giudice comunista, ma direttamente pazzo affinché non gli sembri che una tale esecuzione sia di grave nocumento. Il codicillo cosa prevedeva? Che al giudice è tolta discrezionalità e che, sopra i 20 milioni, la sentenza si sospende sempre, con versamento di cauzione. Non solo si sarebbe arrivati allo stesso punto, non solo dopo la cassazione non cambierebbe nulla, ma si è certificato che l’estensore sa di dover perdere. Che non è un bel segno.
Sarebbe più lineare dire, per tutti: può ricorrere avverso la sentenza solo chi versa la cauzione. Così, almeno, si evita di perdere tempo a riprocessare chi ha già deciso di non pagare. Si affermerebbe il principio che rendere esecutive sentenze non definitive, nel nostro attuale sistema, non velocizza la giustizia, la rende inutile.
Nello stesso testo, licenziato dal governo, si trova il comma 25 dell’articolo 24. Allucinante. Qui si legge che non può ottenere la concessione per la gestione dei giochi, o il suo rinnovo, chi abbia, direttamente o tramite il proprio direttore, o responsabile di sede secondaria, o socio, subito una condanna per reati gravissimi, a partire dall’associazione mafiosa. Giustissimo. Attraverso il gioco si organizza anche il riciclaggio di denaro sporco, ci manca che lo si dia ai delinquenti. Si aggiunge, però, che non può averla, la concessione, anche chi è stato condannato in via non definitava. E qui va male, perché cos’è questa, se non una provvisoria esecuzione di una sentenza che potrebbe essere rivista? Ma non può averla neanche chi è indagato, e qui siamo alla follia, perché lo stesso Stato che non riesce a dirmi se sono colpevole o innocente mi comunica che tale mancanza è una mia colpa per cui i miei diritti subiscono una menomazione. A meno che non si voglia sostenere che i mafiosi non sono i condannati per mafia, ma gli accusati da una procura. In questo caso si dimettano, dal Parlamento e dal governo, tutti gli indagati. Così facciamo trionfare l’inciviltà.
Ma perché si difende, giustamente, quel che resta dell’immunità, affermando, giustamente, che non possono essere le procure a scegliere chi è eletto e chi governa, ma poi si consente a quelle stesse di stabilire chi gestisce una sala giochi? Cos’è, il Parlamento, meno delicato di una macchinetta videopoker?
Questo intendo, quando dico che quel genere di leggi è sia dannoso che inutile. E la brutta sensazione è che gli estensori di quei testi non riescono neanche a cogliere l’insanabile contraddizione fra le due cose. Come una nave la cui prua va a nord e la poppa a sud. E la poppa sta dietro, tanto per evitare confusioni.