Politica

L’elastico

La manovra economica passerà, non per questo il governo si rafforzerà. La fiducia sarà posta, come scontato e da noi annunciato, e sarà accordata. Silvio Berlusconi lo ha paventato, ma non è questa la materia su cui i ministri rischiano di rincasare, perché sarebbe un esageratamente masochistico autogol. E’ sbagliato, però, sottovalutare il segnale, perché il presidente del Consiglio è aduso, talora anche troppo, a sostenere che tutto va bene, il governo è in perfetta forma e la maggioranza è solida, questa volta, invece, fa ciondolare la crisi davanti agli occhi della sua maggioranza. Perché?

La risposta è contenuta nell’affermazione dalla quale sono partito: il governo si è indebolito. Lasciate perdere i sondaggi, che a mangiarne troppi viene il mal di pancia, lasciate perdere i carotaggi elettorali (l’ultimo, del resto, continua a segnalare il centro destra in netto vantaggio), l’indebolimento è istituzionale e politico. A questo s’aggiunga che lo stesso Berlusconi continua a mettere il regolamento dei conti, interno alla maggioranza, fra i punti da affrontarsi in fretta. E se questo è il contorno politico, già di suo non leggero, la pietanza principale è ancora più indigeribile.

La manovra economica sarà approvata, ma il tira e molla di queste settimane è stato micidiale. I decreti presentati, alla fine, saranno due: quello originario e quello che prenderà forma con il maxi emendamento. I continui cambiamenti, annunciati o negati, fatti trapelare o smentiti, hanno lasciato una scia d’insoddisfazione, che coinvolge anche quelli che non ci hanno rimesso nulla. “I saldi non si toccano”, continuava a ripetere il governo. Ma parlando con sé stesso e con i propri ministri, a vario titolo offesi o insoddisfatti, perché agli italiani interessano poco i saldi e molto i provvedimenti specifici. Si è arrivati anche a pensare di toccare la tredicesima dei poliziotti, mentre i parlamentari non riescono, proprio non ce la fanno, a tagliarsi un minuscolo cucciolino di grasso, dalla loro inutilmente pingue paga. Sono queste le cose che fanno arrabbiare, e di brutto, non i saldi.

Quando sarà chiusa questa partita, nel mentre nel centro destra nascono correnti che si propongono di combattere il sorgere delle correnti e si decide se con Gianfranco Fini si riesce a trovare un accomodamento o, come ciascun vede e ritiene, sia il caso di prendere atto di una rottura insanabile, si dovrebbe riprendere la discussione sulle intercettazioni telefoniche. Sarà passato il ridicolo (ri-di-co-lo) sciopero odierno dei giornalisti, rispetto al quale sono orgogliosamente crumiro, ma i giornali non dovrebbero uscire per un anno per cercare di occultare il sussultante alternarsi di partenze in quarta e precipitose marce indietro, di cui il governo è protagonista. Se ne parla da due anni, si è arrivati ad un testo che non servirà a nulla (non sarà un bavaglio, non tutelerà la privacy e porterà solo ulteriori pesi su una giustizia già schiantata, amen), su quello il governo ha detto che la discussione era chiusa e non sarebbe mai più stato cambiato, su tale affermazione s’è approfondita la rottura interna alla maggioranza, per poi arrivare alla dichiarazione di Franco Frattini: vabbe’, parliamone, aggiustiamolo. Né poteva essere diversamente, perché il Presidente della Repubblica, in maniera irrituale (come si dice facendo la boccuccia) e uscendo fuori dai binari costituzionali (per dirla in modo non ipocrita), ha già annunciato, da Malta, che lui quel testo non lo firma. Fine della trasmissione.

Ammettiamo che lo si cambi in modo da riuscire a ottenere due risultati: a. renderlo accettabile al Quirinale e, b. farlo passare prima di prendere paletta e secchiello e andare tutti al mare. Un testo così partorito minaccia d’essere più inutile di quello attuale. Non di meno, per ottenerlo, la maggioranza si sarà ulteriormente danneggiata. Poi suona la campanella e tutti via. Cosa credete che ci sarà, al ritorno? La stessa identica situazione, aggravata da qualche intervista ferragostana, pomposamente pensosa ma sostanzialmente minacciosa. A quel punto o il regolamento dei conti è alle spalle o lo si affronta. Risultato: un rimpasto.

Mi fermo qui, perché alla voce “rimpasto” ciascuno vede la regressione dal governo del fare a quello del mediare e campare. Per non finire in quelle secche si deve essere determinati nel cambiare rotta. Berlusconi è la voce più forte, da molti anni, della politica italiana. Una spettacolare macchina elettorale che non riesce ad ingranare la marcia del cambiamento. Si rivolga agli italiani, come lui sa fare, racconti loro la verità: il nostro sistema istituzionale è impallato, quello economico perde competitività da quindici anni, non siamo né sull’orlo del tracollo né sul lastrico, ma se vogliamo riprendere la via dello sviluppo, civile ed economico, dobbiamo cambiare le regole del nostro vivere politico. Chiami, su questo, a raccolta le forze disponibili e, se necessario, gli elettori alle urne. Non c’è ragione di attendere oltre, perché il tempo che passa inutilmente non è solo sprecato, è un elastico tirato allo spasimo, proprio all’altezza dell’occhio. Se si rompe, sono dolori.

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