Politica

L’era primaria

Le elezioni primarie possono essere una gran bella cosa, come anche una gran presa in giro. Nel secondo caso, come l’esperienza della sinistra dimostra, non si limitano ad essere una perdita di tempo, divenendo un danno. Per quel che riguarda il centro destra, inoltre, dopo sedici anni di designazioni monocratiche e assegnazione di seggi con il bilancino delle diverse componenti, la passione delle primarie può scatenare gli effetti che aveva la severa educazione monacale su certe fanciulle costrette in non liberali collegi: l’esplodere di una successiva generosità promiscua, definibile anche in modi coloriti e non encomiastici.

Visto che il Popolo della Libertà s’è appena dotato di un segretario politico, nella persona di Angelino Alfano, forse varrà la pena d’attendere un suo orientamento in materia, giacché occorre stabilire: a. quale disegno politico s’intende assecondare; b. quale finalità immediata s’intende agguantare; c. a quale scadenza ci si riferisce. In assenza di tali indicazioni si corre il rischio di far passare l’appena nominato come l’ultima imposizione avanti l’era primaria.

Il disegno politico è fondamentale. Se, ad esempio, s’intende consolidare o costruire una coalizione, è evidente che le primarie non possono farsi all’interno di un solo partito. Né la finalità immediata può essere quella di rendere più forte il prescelto nel braccio di ferro con interessi e correnti interni alla sua coalizione. L’esperienza insegna: Romano Prodi fu eletto da primarie cui, si disse, parteciparono quattro milioni di persone, ciò non impedì ai suoi alleati di farlo fuori appena possibile. Walter Veltroni fu anch’egli frutto delle primarie, il che non gli impedì di perdere voti ed elezioni. Le primarie, a sinistra, sono divenute efficaci solo quando sono servite a far perdere il partito più grosso, il Pd. Esempi: la Puglia e Milano. E’ questo che ha scatenato l’invidia della destra? Oso dubitarne.

Perché non si trasformino in una specie di “Isola dei candidati famosi” occorre che si confrontino programmi, non disinvolture fotografiche o evocazioni sentimentali. Nell’odierno centro destra la faglia passa sul terreno economico, con posizioni possibilmente non articolate secondo i canoni di rigoristi e spendaccioni. Il tema è: spesa e politiche di sviluppo senza intaccare l’equilibrio di bilancio, diminuzione della pressione fiscale senza accrescimento del debito (quindi con taglio della spesa). Su ciò sarebbe interessante ascoltare idee. Noi qualche sforzo lo facciamo, toccherebbe anche ai candidati cimentarsi.

Le primarie hanno un senso quando sono coerenti con il sistema elettorale, altrimenti sono esercizio d’equilibrismo interno ad un partito. E’ vero che i vecchi congressi, nella prima Repubblica, erano largamente influenzati dalle tessere false, pagate dai capi corrente, ma è anche vero che molte delle schede infilate nelle urne di cartone non sono state meno tarocche e meno cammellate. Internet, come s’è visto, non è in sé una garanzia.

In sintesi: il modo in cui eleggiamo sindaci e presidenti di regione è coerente con le primarie, in questo caso ponendosi “solo” un problema di regolarità, vale a dire di esatta definizione dell’elettorato attivo e passivo. Il modo in cui eleggiamo il Parlamento, invece, non è affatto coerente con le primarie. In quanto al modo in cui eleggiamo il capo del governo, questo è il caso più grottesco, perché facciamo finta di non sapere che non lo eleggiamo in nessun modo, visto che la Costituzione non è stata cambiata.

Chi cerca il modo per trovare il successore di Silvio Berlusconi perde il suo tempo, perché un ruolo politico non è la casella di un organigramma da riempirsi. Chi s’industria a immaginare la sorte del sistema politico dopo che il bipolarismo avrà perso il suo unico perno (posto che non risulta essersi arreso) compie uno sforzo meritorio. In tal senso le primarie all’americana, con un sistema coerente, andrebbero bene. Alla Nando Moriconi, meno.

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