Politica

Lezione francese

La lezione francese s’è conclusa come previsto, anche se in tanti non vogliono capirla. Quando, dopo la prima domenica elettorale, tutti titolarono sulla vittoria del Front National, di Marine Le Pen, noi osservammo che era inesatto, dato che quel sistema elettorale non consente di tirare le somme a metà del cammino. Nonché improbabile. Dopo la seconda domenica ne vedo troppi intenti a sostenere che Le Pen le ha perse, le elezioni. Il che mi pare altrettanto affrettato e approssimativo. Gli sconfitti di queste elezioni sono François Hollande e Nicolas Sarkozy. Le Pen non ha conquistato la vittoria, da nessuna parte, perché non è riuscita a convincere altri che quanti già l’avevano votata. E’ il bello di quel sistema. Effettivamente bello.

Se il Front National è divenuto il primo partito di Francia risulta evidente il successo e innegabile la sconfitta degli altri. La seconda domenica, inoltre, conferma quel che qui abbiamo sostenuto: la paura muove voti verso la conservazione, mentre è la rabbia ad averne traslocati verso tesi estreme, ma pur sempre di rottura e opposizione. Se i ballottaggi danno torto al primo partito è perché i temi che agita, le parole che usa e le proposte che fa servono a coagulare il voto di rigetto, ma provoca il riversarsi altrove del resto. Che è la maggioranza. Era già successo in passato ed è successo ancora.

Se la destra vorrà provare a essere non solo lo sfogo della rabbia, talora cieca, benché spesso fondata, bensì anche forza effettivamente candidabile al governo, dovrà usare temi e toni che non provochino la fuga degli altri. A battere Le Pen non è stato l’accordo fra repubblicani e socialisti, non una manovra politica, ma la reazione della maggioranza degli elettori, che hanno votato non il meglio, ma quello che hanno considerato il meno peggio. Il problema vero, però, non è quel che farà la destra, bensì quel che faranno gli altri. E’ su questo che la lezione francese andrebbe capita, anche in Italia.

Pur di non avere più Sarkozy all’Eliseo, con il suo mescolare prosopopea e retorica inconcludente, i francesi ci spedirono Hollande. Accompagnandoli a quel voto scrivevamo: sacrificatevi, scegliete un incapace, ma togliete di mezzo il bullo. Lo fecero, ma non si può chiedere di ripetere all’infinito questo esercizio masochista. Tre anni dopo si ritrovano con un presidente che ha cambiato mogli, come il predecessore, e combinato poco. E con uno sfidante che pretende d’essere lo sconfitto di ieri: Sarkozy. Per forza che il voto di rigetto cresce. Il sistema del doppio turno ha consentito agli elettori francesi di porre rimedio, ma sono le forze politiche a dovere provvedere, cambiando i candidati. Puntare a tenere i cavalli spompati o schizzati, sperando che al ballottaggio siano ancora gli elettori a risolvere i problemi, significa condannarli a scegliere non più il migliore, e nemmeno il meno peggio, ma il meno pessimo. Che è un erroraccio sintattico, ma ancora più e ancor peggio un azzardo politico. Un giocare con il fuoco della storia.

Se le classi dirigenti e il mondo politico non riescono a offrire di meglio, restando ostaggio del passato e dei ripassati, è segno che hanno irrimediabilmente perso la loro funzione. Sono finiti. Producono solo retorica e bonus, a spese del futuro. Brutta storia, con cui fare i conti. Gli elettori hanno mandato l’avviso. Speriamo sia capito. In Francia, come anche a casa nostra.

Pubblicato da Libero

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