Il congresso dei liberali è una buona notizia. Il fatto che si muova nel solco del lavoro fatto per la Casa laica è notizia ancor migliore. E’ la prima occasione congressuale di uno dei partiti storici di quest’area, di questa galassia, ed è, quindi, un’occasione preziosa per riflettere su come procedere, su dove puntare.
Non serve, non è utile, forse non è neanche possibile, rivolgersi ai liberali di un tempo (così come ai repubblicani od ai socialisti di un tempo) proponendo loro un ritorno al bel mondo antico. Quel mondo non c’è più, e non tornerà. Ciascuna di queste famiglie ha pagato il trauma ed ha subito divisioni. Il lavoro da farsi non è quello di trovare la chiave della riunione, del ritorno sotto un unico, impossibile, tetto, bensì quello di ridare ruolo e spazio politico a formazioni che hanno radici antiche, ma, oggi, rami piuttosto spogli.
Non si deve guardare al passato, né si deve puntare alla sopravvivenza. La prima cosa è nostalgica, la seconda piuttosto misera. Si deve, invece, lavorare agli strumenti che ridiano dignità alla politica, le restituiscano la forza progettuale e la capacità di governare il presente, traendola fuori dalla palta del bipolarismo bastardo. E’ su questo terreno che ci giochiamo l’avvenire.
L’intero dibattito politico italiano ha gettato alle spalle le ideologie (ed è un bene) ed ha perso idealità (ed è un male). E’ vero che termini come destra e sinistra hanno perso gran parte del loro significato, ma questo non è il frutto di una maturazione storica, bensì il derivato dell’avere perso caratterizzazione ideale e programmatica. Da una parte e dall’altra, quale idea d’Italia si scorge? Quale vocazione per il futuro? Solo qualche balbettio, sulle labbruzze di una destra che non sa essere liberale e liberalizzatrice, come su quelle di una sinistra che non sa essere garantista e progressista.
Sperare di trovare spazio dentro il palazzo della politica è come credere che saranno le muffe ad aprir la finestra. Si deve parlar fuori, ripercorrere la via dell’elaborazione intellettuale e della presenza territoriale. L’Italia di oggi è socialmente articolata in odo più favorevole di quanto non lo fosse trenta anni fa, eppure le forze che dovrebbero esserne espressione non ci sono più, o sono ridotte al lumicino. Concorrono, a questo, diversi fattori, ma a noi tocca privilegiare quello della nostra responsabilità e della nostra incapacità.
Le prossime elezioni politiche segneranno la fine di un ciclo. Quel che si aprì con il colpo giudiziario e con le elezioni del 1994, dopo più di dieci anni, è concluso. Nel bene e nel male, è concluso. Quel che c’era prima non torna. Quel che è venuto dopo non ci piace. Ciascuno trovi, nella propria storia, la forza e l’orgoglio per andare oltre. Per un gruppo che abbia queste radici, che sappia intrecciarle con quelle di altri, ma che sappia essere nuovo, sappia interpretare i bisogni ed il linguaggi dell’oggi, c’è uno spazio enorme. Ce ne è talmente tanto che certuni si spaventano, e rificcano la testa nella loro scatoletta. Speriamo i liberali non commettano quest’errore.