Politica

Liberismo immaginario

Abbiamo detto addio alle province, che, però, restano dove sono. Abbiamo detto addio al porcellum, ma per mano della Corte costituzionale, mentre in Parlamento giace una suinata condivisa, che funziona allo stesso modo del porcellum. Se diremo addio al Senato vorrà dire che fra bicameralismo, titolo quinto e poteri del presidente del Consiglio si sarà fatta una riforma costituzionale profondissima, con tanti saluti alla “Costituzione più bella del mondo”. In attesa che tutto questo prenda corpo si dovrebbe discutere la riforma del mercato del lavoro. E questa volta un addio c’è sicuramente: alla falsa unità del Partito democratico.

Stefano Fassina, esponente del Pd, già vice ministro del governo Letta, quindi di un governo che aveva la medesima maggioranza dell’attuale, essendo presieduto dal vice segretario del Pd, poi sostituito dal segretario del Pd, Fassina, dicevo, annuncia battaglia. E’ contrario alla possibilità di rinnovare otto volte (ne propone tre) e fino a tre anni (ne propone due) i contratti a termine. Altrimenti, dice, aumenterà la precarietà. Evidentemente ritiene che un anno in meno risolva il problema, il che rende avvincente la logica che lo guida. Dice anche, ed è quello che mi ha colpito, che quel progetto renziano “è il frutto della cultura subalterna al neoliberismo che ha dominato dagli anni novanta in poi”. Ha dominato cosa? Dove? Con chi?

Dagli anni novanta abbiamo visto crescere la spesa pubblica, il debito pubblico e la pressione fiscale. E’ vero che ci siamo sorbiti un’infinita gnagnera a base di presunte rivoluzioni liberali, da destra, e presunte attenzioni ai mercati, da sinistra, è vero che s’è stracciata l’anima degli astanti continuando a parlare di riforme “strutturali”, competitività ed elasticità. Ma s’è fatto il contrario. Il poco realmente fatto, come la legge Biagi (che è costata la vita a chi la concepì), ha restituito posti di lavoro. Occupazione di giovani che hanno anteposto il reddito alla lagna. Ma l’hanno smontata, perché il disoccupato è considerato più domestico dell’occupato a tempo determinato.

Non so se sia “neoliberismo”, ma mi sembrerebbe saggio tagliare i viveri all’economia assistita, che genera incapacità a competere, costi economici e costi sociali, per restituire ossigeno all’economia capace di competere, quella che ha fatto numeri straordinari nelle esportazioni (pur avendo un cambio sfavorevole e l’accesso al credito a tassi superiori a quelli dei concorrenti tedeschi). Non so se sia “neoliberista”, ma agli imprenditori e ai lavoratori che campano d’assistenzialismo appaltato e di trasferimenti fiscali si dovrebbe chiedere: festeggiamo finché dura (poco), strangolando i vostri e nostri figli, o la piantiamo e ci mettiamo a lavorare, scontando qualche dolore ma restituendo opportunità ai giovani? Sono molte le cose che non so, ma una la so per certa: il neoliberismo ha imperato solo nella testa di chi confonde la realtà con i propri piccoli sogni ideologici, da cui nascono i nostri incubi collettivi.

Ci sono da smontare i mostri del socialismo asociale, dello statalismo antistatale e del satanismo fiscale. E c’è da offrire ai disoccupati la possibilità di trovare un lavoro che non sia la raffigurazione ideale che si trova nella testa di chi non ha mai lavorato. Non si potranno dare loro le garanzie date ai loro nonni e genitori, il cui costo è ancora da pagare, ma si potrà metterli a lavorare e affrancare dall’umiliazione di vivere da eterni adolescenti a paghetta familiare. Per non dire di quelli che intraprendono in proprio, cui se vai a raccontare che veniamo da anni li liberismo va a finire che diventano selvaggi, perché stufi di pagare la rendita a chi dice spropositi.

Pubblicato da Libero

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