La Lega non è un alleato fedele, ma determinato e non ondivago della formazione politica nata e consolidatasi attorno a Silvio Berlusconi. E’ l’unico partito italiano a non essere una proprietà personale di qualcuno (pur avendo un capo carismatico e fondatore), ma ad avere un’identità precisa: rappresenta una corposa fetta d’italiani che ritengono la politica, e per essa lo Stato, sia la causa dei loro problemi, la zavorra che ne rallenta la corsa.
Un osservatore serio e documentato, Luca Ricolfi, ha notato che anche la battaglia per il federalismo è, in un certo senso, passata in secondo piano. C’è del vero, ma occorre comprendere che non è poi così importante. Bossi partì con una compagnia in gran parte diversa e usando la bandiera del secessionismo. Non penso che i suoi elettori d’allora volessero realmente o pensassero fosse praticabile la secessione, volevano urlare, però, che non ne potevano più. Non sapevano bene di cosa, e forse neanche perché, ma era loro chiaro che pagavano una barca di soldi di tasse e ricevevano troppo poco da una politica che intermediava troppi interessi e affari. Hai voglia a spiegare loro che quei soldi, in gran parte mal spesi, erano serviti anche a salvare l’integrità del Paese in anni difficilissimi, quel che loro pareva inoppugnabile è che c’erano privilegi eclatanti e intollerabili, di cui non si sentivano partecipi. Quindi urlavano il loro dissenso.
Il pasaggio dal secessionismo al federalismo fu un cambio di tema che serviva a rendere possibile l’ingresso nel governo e la partecipazione a molte, importanti amministrazioni locali. Ma non cambiava l’umore. Il federalismo, a sua volta, è stato abbracciato da tutti, a sinistra come a destra, nella speranza di depotenziare la Lega e, all’evidenza, non comprendendone il valore strumentale. Risultato: è stata anche fatta una riforma costituzionale intitolata al federalismo, ma è cambiato solo che la spesa pubblica è ancora meno controllata. Del resto, quando senti dire a Giulio Tremonti, persona seria e misurata, che quella meridionale deve essere una questione nazionale, e per questo ci vuole il federalismo, capisci che il primo provvedimento dovrebbe consistere nel mettersi d’accordo sul vocabolario.
La Lega, ben al di là della battaglia federalista, ha allargato la propria rappresentatività, senza annacquare l’identità. Se non ci credete, chiedetelo alla sinistra, che vede minacciate anche le roccaforti tradizionali, in Emilia e in Toscana. Questo perché più ci si allontana dagli anni della spesa sociale finalizzata a garantire il consenso e l’unità nazionale e meno si capisce perché si dovrebbe continuare a portare sulle spalle un fardello fiscale insopportabile. E non si pensi di rispondere a questo sentimento richiamando alla crudezza dei conti, perché è proprio di quei conti che una parte d’Italia non ne può più.
La forte identità leghista, inoltre, è divenuta un problema anche per i così detti “corpi intermedi”, vale a dire le rappresentanze imprenditoriali e dei lavoratori: fra gli uni e fra gli altri c’è molta gente che si riconosce più nel ruggito leghista che non nel politichese associativo. E, anche qui, non basta mettersi al vento, perché quello che tira è un soffio forte e che non li tollera.
Bossi, inoltre, è divenuto politico navigato e abile, sa che la follia di Gianfranco Fini (che aveva messo in evidenza l’eccesso d’influenza leghista) gli torna utile, e sa che per massimizzare il vantaggio deve tagliare la strada ad ogni ipotesi di riarruolamento del centro, Pier Ferdinando Casini in testa.
Sicché, ci vuol fantasia per considerare “fedele” un simile alleato. O, meglio, è una formazione totalmente fedele alla propria identità, che non si farà lasciare indietro e che sfrutterà fino in fondo tutti i propri vantaggi competitivi.
La cecità del resto del mondo politico consiste anche nel litigarsi questo alleato, non comprendendo che, semmai, si devono fare i conti con l’Italia cui da voce, con sentimenti urticanti e diffusi, con una potenza antistatale che ha saputo creare una classe dirigente locale e ha messo al ministero degli interni un ministro efficace e determinato, forse l’ultimo a occuparsi dello Stato.