Politica

L’Italia al cubo

La Sicilia è un passo avanti. Un trasformismo giocoso e suicida brucia la politica isolana più di quanto il sole faccia con le pietre. Le pietre, del resto, sembrano maggiormente reattive. Un siciliano come me vorrebbe potere dare torto a un grande siciliano, Leonardo Sciascia, che vedeva quel mondo quale metafora di ciò che sarebbe potuta divenire l’Italia. I siciliani, diceva Sciascia, non credono nelle idee, non credono che si possa cambiare. Non credono. Nell’approssimarsi delle elezioni regionali, però, forse s’accorgeranno che a tutto c’è un limite, ed è stato abbondantemente superato.

In Sicilia s’è realizzata l’unità delle forze politiche, purtroppo nel peggio: Raffaele Lombardo lascia un’amministrazione allo stremo, dopo essere nato nell’Udc, essere stato partorito dal Pdl e allattato dal Pd. Non solo non si lascia innocenti alle spalle, ma ha innervato tutte queste famiglie politiche: nel Pd sono gli uomini che si allearono con lui ad avere creato la candidatura di Rosario Crocetta; nel Pdl, fino a ventiquattro ore fa, ambivano ad allearsi con lui, accettando di candidare chi lui voleva, per il tramite di Gianfranco Micchiché, ovvero Nello Musumeci; l’Udc s’era alleata a sinistra fin quando lui non s’è alleato a destra, salvo poi prendere atto che rompe anche quell’alleanza e li costringe a ripensare il tutto. Quest’orgia trasformista non ha il pudore d’accompagnarsi ad alcun proponimento programmatico, giacché il programma consiste nell’esserci domani così come ci s’è oggi e ci si fu ieri. Programma impegnativo e bastevole, per realizzare il quale, però, è necessario considerare gli elettori siculi al pari di mandrie da far pascolare nei più opportuni campi. Loro bruchino e ruminino, che al resto pensa una classe dirigente ferma nel compiacersi di sé e delle proprie camaleontiche attitudini. C’è un problema, che non è morale, non ha a che vedere con la teoria, meno ancora con la dignità, è solo pratico: l’erba è secca, la biada manca e, sebbene l’elettorato sia animato più da speranze che da riconoscenze, occorre ammettere che se anche questa volta saranno capaci di convincerli c’è da ammirare la maestria illusionista di questa classe politica.

In Sicilia c’è la peggiore scuola e la peggiore giustizia d’Italia, ma i governati autoctoni “salgono” a Roma per reclamare piccioli da spendere, non prestazioni per i cittadini. S’è data dei siciliani l’immagine di una popolazione dedita alle gozzoviglie, contando sulla spesa pubblica, nella realtà c’è la più bassa spesa mensile familiare d’Italia, inferiore dell’11 per cento a quella del Mezzogiorno. La spesa pubblica regionale ha prodotto miseria. Non è escluso che ciò richieda rappresentanti miseri.

Date alla Sicilia quattro cose, e la vedrete volare: legalità, deburocratizzazione, defiscalizzazione e meritocrazia. Bestemmie, lo so. Ma se ci teniamo il teatro delle inchieste e l’astinenza dalle sentenze; una burocrazia regionale che più costa, più assume e più inventa funzioni che umiliano il mercato e i cittadini; una fiscalità strozzina e incapace di guardare agli immensi spazi interni, che potrebbero essere sede d’innovazione e ricerca, attirando capitali dal mondo; una uniformità (d)istruttiva che fa fuggire i giovani, lascia disoccupati i diplomati professionali, omogenizza nella mancanza di competizione e, quindi, favorisce i favoriti, perdendo la possibilità di divenire isola universitaria e meta d’eccellenza; se ci teniamo questa roba produrremo solo impoverimento economico, culturale, politico e civile.

Quell’impoverimento genere il trasformismo che abbiamo davanti. Dando vita a un bipolarismo direttamente capitanato dagli estremisti, ma oramai svuotati d’ogni coloritura. Sicché il candidato comunista proclama l’astinenza in caso d’elezione, e il candidato fascista chiama all’unità contro tale intento. Roba seria, roba grossa. E se ti azzardi a dire: vi siete bevuti il cervello, quelli ti rispondono: hai dei pregiudizi, non conti nulla, il potere siamo noi. Il sistema dell’informazione, del resto, li aiuta. E le forze sane, produttive, desiderose di cambiamento? Ci sono. Ma non si vedono. Di sicuro non si sentono. Ciascuno diffida di tutti, restando inerte.

Diranno i non siciliani: peggio per gli isolani, a noi che importa? Vi importa, miei cari, perché Sciascia non era mica un fenomeno dialettale, è stato uno dei più grandi intellettuali europei. E vide giusto: la Sicilia come metafora. Un’Italia al cubo, dico io. Forse vale la pena provare a evitare quel che sta per avvenire.

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