Nel 2011 furono 70.000 i migranti che attraversarono il mare a sud dell’Italia, per superare i confini dell’Unione europea. In un misto di gente in fuga dalla guerra, aspiranti rifugiati, e irregolari, candidati alla clandestinità. Tutti in fuga da un mondo peggiore. Tutti rischiando la pelle. Moltissimi, troppi, lasciandocela. Nel 2014 quel numero impressionante è stato quasi moltiplicato per tre: più di 207.000 persone in balia del mare. Mettendo noi in balia del fenomeno. Due cose sono sicure: la prima è che gli italiani non lasceranno mai affogare donne e bambini, ma neanche ragazzi e uomini; la seconda è che noi siamo stati capaci di gestire i nostri confini, con alti e bassi, successi e dolori, ma ci siamo riusciti, quel che non possiamo fare è gestire i confini europei, perché resi deboli da errori di altri europei. Questo è il punto più importante: non è solo una questione di soldi, ma di scelte politiche e giuridiche. Noi non possiamo rispondere degli errori o delle disonestà altrui. E ce ne sono di gravi.
Noi gli accordi con gli stati rivieraschi fummo capaci di farli. Talora trattando con soggetti non iscrivibili al club dei galantuomini, ma siamo stati capaci di tenerne a bada le brame. I migranti si sono moltiplicati di tre volte anche perché la Francia e il Regno Unito hanno soffiato sul fuoco delle primavere arabe e scatenato la guerra civile in Libia. In quella guerra l’Italia vide danneggiati i propri interessi, mentre francesi e inglesi ci hanno guadagnato. Salvo poi lasciare i siriani al loro destino. Non ha senso che noi si debba subirne le ulteriori e umanamente pesanti conseguenze negative. Se imbarcazioni diroccate vanno, con il timone bloccato, a schiantarsi verso le cose italiane è anche perché i greci le lasciano passare. Così come i maltesi allontanano i barconi dei disperati. Quando fu varato Mare Nostrum avvertimmo subito del pericolo: da quel momento i barconi non dovevano più neanche raggiungere Lampedusa, limitandosi a uscire dalle acque territoriali di partenza prima di annunciare il proprio affondamento. Avvertimmo che, in quel mondo, ci mettesi sarebbe messi al servizio dei commercianti di carne umana. Purtroppo avevamo ragione.
L’alternativa, però, non è mica lasciare affogare la gente. La prima alternativa consiste nell’aprire noi una procedura nei confronti dell’Unione europea (lo so che i trattati non lo prevedono, ma la tratta dei disperati lo impone). Ripeto: non è (solo) questione di batter cassa, perché già in parte siamo finanziati, si deve reclamare un diritto e una gestione comune.
Sebbene in un caos intollerabile, per i rifugiati, e in un caos autolesionista, per i clandestini, tutti loro sanno che se riescono a mettere piede in Italia, o in Spagna (le frontiere più esposte), oppure a passare dalla Turchia, transitare in Grecia e poi giungere sempre in Italia, magari diretti verso nord, basta metterci piede e l’ipotesi d’essere espulsi e rimpatriati è tendenzialmente nulla. Questa è la falla. Il rimedio non può essere cercato nel diritto nazionale. Non funzionerà mai, anche perché i confini non sono più solo nostri. Noi, qui, una proposta l’abbiamo fatta: istituire zone extraterritoriali, dove convogliare i migranti, dopo averli messi in salvo, lasciando che siano il diritto e l’amministrazione europei a gestire il passaggio successivo: accoglimento o rimpatrio. In altre aree del mondo funzionano bene, nel rispetto della civiltà e senza alcun cedimento a sentimenti men che commendevoli.
Se questa idea non piace (ho l’impressione che nessuno se ne sia neanche occupato) se ne tirino fuori altre. Quel che non si può fare è lasciare che l’onda cresca senza reagire. O pensare che reagire significhi fare il discorsetto di circostanza. Tanto più che a spingere l’onda ci sono anche gli stessi con cui dobbiamo consolidare la casa europea. La politica delle frontiere non è più o meno importante di quella monetaria: è parimenti componente di ciò che, altrimenti, non esiste.
Pubblicato da Libero